Pandemia e politica. Draghi, dal governo dei miracoli al Titanic

Pandemia e politica. Draghi, dal governo dei miracoli al Titanic

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Scenari. Lo stato della nostra “società politica” appare, dopo un anno di governo Draghi, più disastrato di prima, con una guerra di tutti contro tutti che si è radicalizzata

 

Il “Governo dei miracoli” viaggia a tutto vapore, come il Titanic, verso il suo iceberg istituzionale di fine gennaio. Intanto perché è regola generale che i governi costruiti su un eccesso di personalizzazione sono per loro natura fragili come cristalli: se il Capo s’inciampa, viene giù tutta la baracca. E poi perché il miracolo per il quale era stato messo su un anno fa, in quella forma irrituale ed extraparlamentare che conosciamo, non c’è stato.

Anzi. Avrebbe dovuto “risanare” il Paese dalla grande epidemia e insieme stabilizzare la società politica suturandone le fratture con l’esorcismo della Grande Coalizione, e ha fallito su entrambi i fronti. Oggi siamo nel pieno di un’ondata senza precedenti quantomeno per numero di contagi. E mai come ora le forze politiche appaiono divise tra loro e frantumate al proprio interno.

L’ultima seduta del Consiglio dei ministri, la n.55, mercoledì scorso, dedicata alle “misure di contenimento dell’epidemia”, è drammaticamente sintesi di ambedue i fallimenti nel suo alludere a una sorta di tardivo 8 settembre, con quell’uscita dei ministri in prima serata, a sgattaiolare frettolosamente nella strada in penombra e il Capo in fuga dalla doverosa conferenza stampa, mentre tutti si danno da fare a rassicurare sotto voce di un’unanimità di facciata quando ognuno sa che ci si era spaccati, e duramente.

NE ERA USCITO, da quella riunione, il “pasticciaccio brutto” che poi abbiamo letto nel farraginoso comunicato stampa: quella sorta di obbligo vaccinale alla coque fissato, arbitrariamente, alla soglia dei 50 anni (non perché ci sia una qualche ragione scientifica a favore, ma solo come prodotto di una mediazione con la Lega di Salvini e con le titubanze dei 5stelle), con una sanzione – i 100 euro – irrisoria per i ricchi, feroce per i più poveri, e poverissimi. A cui si aggiunge l’assurda, cervellotica normativa sulla scuola (con regole e conseguenze dei contagi diverse in ogni ordine e grado), mentre buona parte dei tecnici, dai presidi ai medici di base al Cts, andavano sostenendo l’opportunità del prolungamento delle vacanze natalizie di qualche giorno.

Infine il mantenimento di quella disposizione relativa alle quarantene, da cui sarebbero dispensati i vaccinati o i guariti, ancor più arbitraria non essendoci nessuna evidenza clinica sul fatto che costoro non siano contagiabili né contagiosi, anzi essendocene a bizzeffe di opposte. L’unica ratio riguarda la volontà di preservare le attività economiche dal rischio di rallentamento, secondo quella che ormai sembra l’unica cifra delle preoccupazioni del Governo, anzi del suo Capo: far quadrato intorno alla priorità assoluta del business, sacrificando tutto il resto, o comunque derubricandolo a questione secondaria.

HO LETTO CHE DRAGHI, per affermare la propria linea intransigente sul Super Green Pass contro le resistenze della Lega ha invocato la “difesa del Pil” (titolo di Repubblica on line: «Il Premier tira dritto “Difendiamo il Pil”). Non “Difendiamo la salute” o, che so?, “Difendiamo la vita degli italiani”. Difendiamo il Pil! La cosa mi colpì, per tanta franchezza, ma a ben pensare quella è l’unica “ragione sociale” che ha portato il blocco di potere che ha ripreso il pieno controllo del nostro Paese a metterlo sugli altari. E che spinge, costi quel che costi, a mantenercelo. Indifferenti al fatto che molte di quelle decisioni “pro cicliche”, chiamiamole così, finiranno nel medio periodo per aggravare il male.

Quel ritardo colpevole nel dilazionare l’obbligatorietà della vaccinazione oltre il giusto, denunciato da molti studiosi ( “Troppo poco, troppo tardi” ) ; la scelta di lasciar correre il virus durante le feste; le tante misure da “liberi tutti” (si pensi al calcio e agli stadi)…, con tutto questo si ottiene il risultato esattamente opposto. Ovvero quello di diffondere appunto l’epidemia sopra soglie di non sostenibilità sociale.

MA QUEL CHE CONTAVA era dare assicurazione ai propri stakeholders che ci si preoccupava dei loro bilanci. E in parte anche – questione non secondaria – non scontentare i “grandi elettori” utili per la corsa al Quirinale. Terreno su cui, d’altra parte, sembra aleggiare la medesima vichiana “eterogenesi dei fini” che porta spesso, soprattutto gli apprendisti stregoni della politica, a ottenere con i propri atti risultati esattamente opposti a quelli voluti.

È così che lo stato della nostra “società politica” appare, oggi, dopo un anno di governo Draghi, ancora più disastrato di prima, con una sorta di guerra di tutti contro tutti che non è stata quietata ma anzi si è radicalizzata dopo l’infelice conferenza stampa di fine anno, con la Lega in non dichiarata fuga dalla maggioranza e nel contempo in competizione con entrambi i soci di centro destra; i 5stelle in fase di ormai endemica dissoluzione, incapaci di sia pur minime decisioni unitarie; il Pd zavorrato dal sottobosco parlamentare renziano e per questo paurosamente oscillante a destra o a sinistra mentre il capitano di ventura Renzi tresca a destra tout court.

NON STUPISCE CHE in questo caravanserraglio, nei sondaggi per il Quirinale l’unico che svetta sia l’unico che ha sempre detto di non volervi rimanere, ossia Sergio Mattarella, seguito molto a distanza dallo stesso Draghi (che tuttavia più si legge la Costituzione più si capisce che una sua eventuale elezione la destrutturerebbe gravemente) e da un Silvio Berlusconi sconvolgentemente terzo, che con esplicito oltraggio del pudore, ha il coraggio di proclamare “Dopo tutto quello che ho subìto in questo Paese, il minimo è che io diventi Presidente” (La Stampa). Ecco, a questo punto oggi è la notte. E personalmente non riesco a sottrarmi all’impressione di stare assistendo, dal vero, a qualche scena di Don’t look up. Con un dissennato retro pensiero di tifare per la cometa Dibiasky…

* Fonte: Marco Revelli, il manifesto



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