by Giansandro Merli * | 28 Gennaio 2022 11:52
Al largo delle coste tunisine il naufragio di un barcone partito dalla Libia: 34 persone soccorse dalla marina di Tunisi, sei cadaveri recuperati e 30 dispersi. La metà sono egiziani. Continua l’odissea della Geo Barents: da otto giorni attende un porto, 439 i naufraghi a bordo
La scia di morte nel Mediterraneo centrale continua a ingrossarsi: un barcone partito mercoledì dalla Libia è affondato ieri in acque internazionali, all’altezza della Tunisia. «Al momento solo 34 i sopravvissuti soccorsi dalle autorità di Tunisi. Sei i cadaveri recuperati. I dispersi sarebbero almeno 30», ha dichiarato Flavio Di Giacomo, portavoce Oim per il Mediterraneo. Il numero delle persone a bordo, 70, è stato ricostruito attraverso le testimonianze dei sopravvissuti. Tra loro la maggior parte sono originari dell’Egitto, una quindicina, e poi di Sudan, Libia, Costa D’Avorio, Nigeria e Marocco. Il portavoce del ministero della Difesa Mohamed Zekri ne ha comunicato il trasferimento a Zarzis, sud-est della Tunisia.
Solo martedì scorso lungo la stessa rotta migratoria si sono registrate altre sette vittime, uccise dal freddo[1] sul barcone con cui erano partite dalla città libica di Abu Kammash prima di arrivare a Lampedusa. Un altro naufragio con almeno 11 morti si è verificato, sempre nei pressi delle coste tunisine, il 20 gennaio. In quell’occasione 21 migranti sono stati soccorsi dalla marina tunisina.
Di fronte alle coste della Sicilia orientale restano i 439 naufraghi salvati dalla Geo Barents di Medici senza frontiere (Msf). Hanno trascorso fino a otto notti sulla nave. «La difficoltà a livello psicologico è crescente, ci sono casi limite – ha detto Riccardo Gatti, responsabile dei soccorsi[2] – Non riusciamo a capire i ripetuti silenzi delle autorità italiane dopo i dinieghi maltesi». Uno dei migranti, che chiameremo Isaiah, ha 24 anni e viene dall’Eritrea: «Voglio diventare un medico per salvare vite umane», ha raccontato all’equipaggio di Msf. La prima volta che ha provato ad attraversare il mare è stato catturato dalla cosiddetta «guardia costiera» di Tripoli, la seconda tratto in salvo dalla Ong. «Quanto tempo devono ancora soffrire davanti alle coste italiane?», ha chiesto il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni rivolto alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.
Sempre ieri a Lampedusa sono arrivate in autonomia tre barche: 22 migranti tunisini, 24 di varie nazionalità, tra cui 10 donne e un minore, e 67 partiti dalla Libia. «Lì si vive nel terrore. Ti arrestano e per uscire devi pagare. Ciò che temevamo di più mentre eravamo in mare, oltre alla morte, era essere catturati dalla guardia costiera libica», ha raccontato F., un ragazzo somalo di 17 anni, a Giovanni D’Ambrosio, operatore di Mediterranean Hope-Fcei che offre assistenza sul molo Favaloro.
Proprio a quella «guardia costiera» l’Italia ha consegnato mercoledì nuovo materiale logistico per fermare i migranti. Il giorno dopo che Ap News ha pubblicato un rapporto riservato [3]firmato dal comandante della missione militare Irini Stefano Turchetto in cui si parla di «uso eccessivo della forza» contro i migranti. La nota fa riferimento alle modalità operative utilizzate durante un’intercettazione del 15 settembre 2021 di cui non sono chiari i contorni.
Intanto da Trapani è arrivata una buona notizia: dopo un Port state control realizzato ieri dalla guardia costiera italiana la Ocean Viking è di nuovo libera. Era in stato di fermo dal 10 gennaio[4].
* Fonte/autore: Giansandro Merli, il manifesto[5]
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