Egitto. Liberato Ramy Shaath, ma al-Sisi gli revoca la cittadinanza
L’attivista palestinese-egiziano rilasciato dopo due anni e mezzo di detenzione cautelare. Ieri l’arrivo in Francia: «Continuerò per i compagni in prigione e per una Palestina libera». Festeggia anche Macron, mentre il business con il regime cresce
È uscito dall’aeroporto parigino Charles De Gaulle con una kefiah al collo e la mano intrecciata a quella della moglie Céline Lebrun. Sopra l’occhio sinistro, un cerotto. In faccia un sorriso: Ramy Shaath è finalmente libero. L’attivista palestinese-egiziano è in Francia, terra natale di Céline, dopo due anni e mezzo trascorsi in diverse carceri egiziane con l’accusa di appartenenza a organizzazione terroristica e diffusione di notizie false.
L’annuncio del suo rilascio, dopo oltre 900 giorni di detenzione cautelare (molti di più dei 700 previsti dalla stessa legge egiziana), era giunto lo scorso martedì. Sono seguiti giorni di attesa, nel solito crudele limbo di procedure di rilascio tortuose e inconoscibili. Poi, giovedì sera, è stato liberato e consegnato a un rappresentante dell’Autorità nazionale palestinese al Cairo. Da lì il volo per la Giordania e, infine, Parigi.
In cambio, ha dovuto cedere moltissimo, come se due anni e mezzo di vita succhiati da una detenzione arbitraria e senza l’ombra di un processo non fossero già incommensurabili: ha dovuto rinunciare alla cittadinanza egiziana, gli è stata strappata via, lui che è stato uno dei volti di piazza Tahrir e uno degli attivisti politici più impegnati a ridare dignità agli egiziani e all’altro suo popolo, quello palestinese, per cui si è battuto anche fondando la «filiale» egiziana del Bds, la campagna di Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni allo Stato di Israele.
Un alleato del regime egiziano fin dai tempi di Sadat e che con al-Sisi ha raggiunto nuovi apici, a partire dall’opprimente doppio assedio della Striscia di Gaza, privata – con al-Sisi al potere – delle centinaia di tunnel sotterranei verso l’egiziana Rafah che garantivano un po’ di sollievo al blocco imposto da Tel Aviv.
«Ce l’abbiamo fatta», ha detto Shaath all’aeroporto, accolto da giornalisti e attivisti. «Ho passato gli ultimi due anni e mezzo – ha proseguito – in varie prigioni, alcune destinate alle sparizioni forzate, altre sottoterra. In alcune in isolamento, altre strapiene di persone, nella mancanza di Stato di diritto e rispetto per la dignità umana».
«Dopo due anni e mezzo ho ancora tutta la mia determinazione a continuare, a insistere per liberare gli amici e i compagni ancora in prigione, a insistere per una Palestina libera». Lo ripete più volte, sottolinea il calvario dei 60-100 mila prigionieri politici (stimati) in Egitto: «Ognuno di loro è un essere umano, non un numero. Con le loro storie, il loro dolore».
Tra i tantissimi che ieri celebravano la libertà di Ramy c’è stato anche il presidente francese Macron. Lo ha fatto in un tweet: «La Francia accoglie con favore il rilascio dell’attivista politico egiziano-palestinese Ramy Shaath. Condivido il sollievo di sua moglie, Céline Lebrun, con la quale non ci siamo arresi».
Parigi non ha mai esplicitato un impegno per il rilascio di Shaath, se non nel dicembre 2020 quando Macron ne parlò ad al-Sisi in visita d’onore all’Eliseo. Nella stessa occasione ci tenne a precisare che i diritti umani non possono essere ostacolo al business.
E con il regime il business è fiorente: la Francia investe in Egitto (dati di giugno 2021) 6,7 miliardi di dollari attraverso 650 compagnie. Sei mesi fa il ministro delle Finanze Bruno Le Maire ha firmato un accordo per investirne 4,6 in trasporti pubblici ed energie rinnovabili: «Un partner economico strategico – disse Le Maire – È il primo paese in termine di prestiti del nostro Tesoro». E poi le armi: a maggio l’Egitto ha acquistato 30 jet Rafale per 4,5 miliardi di dollari e missili Mbda per altri 241 milioni.
* Fonte: Chiara Cruciati, il manifesto
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