by Claudia Fanti * | 23 Gennaio 2022 9:22
Cile. 14 ministre su 24 dicasteri. Tra loro, leader della protesta e la nipote di Allende: guiderà le forze armate. Ma qualcosa non cambia: l’ex presidente della Banca centrale va all’Economia, per la gioia degli imprenditori
C’è molta «energia di trasformazione», secondo le parole di Gabriel Boric, nella squadra di governo da lui annunciata venerdì davanti al Museo nazionale di Storia naturale.
Ad attirare l’attenzione, per la sua forte valenza simbolica, è stata la nomina al ministero della Difesa della nipote di Salvador Allende, Maya Fernández Allende, deputata del Partido Socialista vicina al Frente Amplio, al punto da unirsi alla squadra di Boric dopo la sua vittoria alle primarie della coalizione Apruevo Dignidad (l’alleanza tra Frente Amplio e Partido Comunista).
Nata appena due anni prima del golpe, aveva passato i primi vent’anni della sua vita a Cuba con la madre Beatriz, morta suicida a L’Avana, per tornare in Cile nel 1990 e iscriversi allo stesso partito del nonno. Sarà lei, dall’11 marzo, a presiedere i tre rami delle forze armate.
Ma la nipote di Allende è solo una delle ben 14 donne tra i 24 ministri scelti dal presidente eletto, che è così andato oltre la stessa presidente Bachelet, che nel suo primo governo aveva introdotto una perfetta parità di genere.
E se una novità assoluta è la designazione di una donna alla guida degli Interni, la 35enne Izkia Siches, che è stata a capo della campagna elettorale di Boric e ha presieduto l’importante Colegio Médico, alle donne sono stati assegnati anche altri ministeri di peso, dagli Esteri alla Giustizia, dalla Salute alle Miniere.
Senza dimenticare l’Ambiente, che, si suppone, avrà un peso tutt’altro che trascurabile in quello che Boric ha annunciato come «il primo governo ecologista della storia del paese»: a presiederlo sarà la fisica e climatologa Maisa Rojas, direttrice del Centro di Scienza del clima e resilienza e coordinatrice del Comitato scientifico sul cambiamento climatico (tra molto altro).
Sono donne anche due dei tre ministri comunisti presenti nel prossimo governo, insieme a Flavio Salazar (Scienza e tecnologia): Camila Vallejo, nota leader del movimento studentesco del 2011, alla guida della Segreteria generale di governo, e Jeannette Jara, a capo del ministero del Lavoro.
Ma un segnale di cambiamento viene anche dalla nomina di Marco Antonio Ávila, primo insegnante a presiedere il ministero dell’Educazione: un’importante indicazione del ruolo prioritario che assumerà l’educazione pubblica.
Se il cambiamento c’è, non è però completo. A fronte dell’assenza di una maggioranza propria in parlamento, Boric ha allargato il governo anche a forze estranee ad Apruevo Dignidad, a cominciare da quelle – screditatissime tra le forze che hanno dato vita alla rivolta sociale del 2019 – della ex Concertación. Tra queste la parte del leone è toccata al Partido socialista a cui sono andati Difesa, Esteri e Politiche abitative e urbane.
Ma a esso è legata anche la nomina più discussa e più applaudita dagli imprenditori: quella al ministero dell’Economia di Mario Marcel, già presidente della Banca centrale sotto i governi di Bachelet e Piñera e presente in tutti i governi della Concertación.
Di «grande decisione» ha non a caso parlato il multimilionario cileno Andrónico Luksic, che ha definito il neoministro «un economista serio, con esperienza internazionale, che ha dimostrato grande responsabilità alla guida della Banca centrale».
Durissimi, viceversa, i commenti della sinistra radicale: «Quello che è bene per Luksic è bene anche per il popolo?». Evidentemente, è il commento dei settori legati alla «Prima linea» della protesta, in riferimento al noto slogan dell’estallido social, «per Boric non erano 30 anni, erano 30 pesos».
Per il presidente eletto, tuttavia, gli obiettivi restano chiari: «Rilanciare l’economia senza riprodurre le disuguaglianze strutturali. Crescita sostenibile con una giusta redistribuzione delle ricchezze». E ribadisce: «Realizzeremo, passo dopo passo, tutti i cambiamenti che ci siamo proposti».
* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto[1]
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