Passa la riforma della Sanità lombarda, di nuovo centrata sul privato
Pirellone. Con 48 voti a favore e 26 contrari il Consiglio regionale approva il provvedimento dell’assessora Letizia Moratti, insorgono le opposizioni. Vittorio Agnoletto: «È il funerale della sanità pubblica»
Regione Lombardia dice sì alla riforma sanitaria griffata Letizia Moratti: 48 i voti a favore, 26 i contrari in Consiglio regionale, dove viene licenziato un testo fotocopia di quello proposto dalla Giunta e già approvato in Commissione Sanità lo scorso 27 ottobre. 16 giorni di discussione, convocazioni domenicali – andate buca per mancanza dei numeri legali (per colpa del centrodestra) – espulsioni di consiglieri e proteste per un «voto scontato», come ha subito precisato il Pd lombardo. L’ok conclusivo alla legge è «il funerale della sanità pubblica», come definito da Vittorio Agnoletto che era già sceso in piazza contro questa riforma insieme a Medicina Democratica e altre associazioni.
La revisione della legge regionale n.23 del 2015, conosciuta come legge Maroni, vale circa 2,7 miliardi di euro; cifre che andranno a ingrassare ulteriormente il comparto sanitario privato.
«Questa legge non rimedia agli errori del passato, né rispetto all’eccessiva deregulation pubblico/privato di Formigoni, né riguardo la distruzione della medicina di territorio di Maroni – spiega il medico e consigliere di +Europa-Radicali, Michele Usuelli – Sulla medicina territoriale, non si è neppure stati in grado di copiare quanto previsto nel Pnrr dal governo».
Proprio a proposito di Pnrr, Marco Caldiroli, presidente di Medicina Democratica, entra nel dettaglio: «Hanno fatto finta di inserire gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza – case di comunità, ospedali di comunità e assistenza domiciliare integrata – mettendo però un piccolo codicillo che dice che tutto ciò sarà aperto al privato», spiega Caldiroli. «Un altro passo verso un ulteriore sbilanciamento. In questo caso, dando anche la medicina territoriale e di prossimità in pasto ai privati».
C’è un altra cosa che finirà definitivamente nel business sanitario: l’assistenza mutualistica assicurativa del welfare aziendale. In poche parole: adesso un lavoratore può iscriversi a forme mutualistiche convenzionate con la propria azienda a prezzi bassi uniformati «per ottenere la prestazione sanitaria in regime privato senza passare dalle lungaggini del pubblico. Quello che hanno in testa in Regione – aggiunge Caldiroli – è invece di aprire delle corsie preferenziali a chi è iscritto a queste mutue di carattere paritetico. Quindi, ci saranno delle strutture in cui il lavoratore con questa forma mutualistica sarà facilitato rispetto ad altri. Si crea così un mercato differenziato delle persone a seconda del tipo di tutela assicurativa. Tutto con il placet di Regione».
Caldiroli ha molti dubbi anche sull’assistenza territoriale ai malati, per esempio i cronici, «trattati più come clienti, che come persone e pazienti» e sulla gestione delle liste d’attesa: «Non si può continuare ad avere due Cup distinti. Bisognerebbe uniformare come chiesto da tempo e renderlo operativo, nonostante l’ostruzionismo dei privati». Non ha dubbi, dunque, sulla ricetta da adottare: «Guardare indietro e ripescare i principi base su cui si fondava la legge sanitaria della Lombardia del ‘78: necessitarismo di accesso, partecipazione, medicina territoriale e gratuità».
Ovviamente critici e delusi dall’esito dell’Aula anche gli esponenti della minoranza dem in consiglio regionale: «In questi anni – ha detto Fabio Pizzul, capogruppo Pd – hanno separato il sanitario e il socio-sanitario, ospedale e territorio, medici di medicina generale e sistema sanitario, pubblico e privato, ricchi e poveri». Qualcuno nella minoranza, comunque, comincia a guardare al prossimo voto regionale lanciando dardi infuocati all’indirizzo di Fontana & co.: «Pagherete la vostra arroganza nel 2023».
* Fonte: Francesca Del Vecchio, il manifesto
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