by Giansandro Merli * | 22 Dicembre 2021 10:18
Almeno 163 migranti hanno perso la vita durante lo scorso fine settimana davanti alle coste libiche. Nella notte tra venerdì e sabato il primo incidente, che ha riguardato un barcone in legno al largo di Sourman (70 chilometri a ovest di Tripoli). Dei 110 migranti a bordo ne sono sopravvissuti soltanto otto, tutti gli altri risultano dispersi ma le possibilità di trovarli in vita sono praticamente inesistenti.
Dalla vicina Sabratha, invece, sono partiti due barconi tra sabato e domenica: in totale 210 migranti sono ancora vivi, mentre di 61 sono stati recuperati i corpi. Non si sa se siano morti sull’imbarcazione o in mare e in generale le informazioni rispetto a queste nuovi stragi sono scarsissime.
LA NOTIZIA è stata data ieri dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). «Sono 1.508 le persone morte nel 2021 lungo la rotta del Mediterraneo centrale, la più pericolosa nel mondo», ha scritto ieri su Twitter il portavoce dell’Oim Flavio Di Giacomo.
Lunedì l’organizzazione aveva diffuso gli ultimi dati sulle intercettazioni da parte della sedicente «guardia costiera» libica dei migranti in fuga dal paese nordafricano. In una sola settimana, tra il 12 e il 18 dicembre, sono state 466. Nel corso del 2021 hanno toccato la cifra record di 31.456. In quei numeri anche 2.360 donne e 1.278 minori (di cui circa il 70% di genere maschile). Nei dodici mesi del 2020 i libici avevano intercettato 11.891 migranti.
NEL MEDITERRANEO centrale si trova in questo momento la nave Geo Barents di Medici senza frontiere, mentre la Ocean Viking di Sos Mediterranée e la Sea-Eye 4 dell’omonima Ong attendono un porto sicuro di sbarco da quasi una settimana. Fino a ieri sera dal Viminale non erano arrivati segnali. La Ocean Viking ha soccorso 114 persone all’alba del 16 dicembre. Tra i naufraghi ci sono due donne con i loro bebè partoriti due e tre settimane fa. Quattro le richieste totali di Pos. Sea-Eye 4, invece, ha tratto in salvo 223 migranti in diversi interventi nel corso degli ultimi sei giorni. Quattro persone sono state evacuate d’urgenza per ragioni sanitarie. Entrambe le navi si trovano vicino alle coste di Porto Empedocle.
A Tripoli, intanto, la protesta dei circa duemila rifugiati che presidiano il Community day centre dell’Unhcr è arrivata all’ottantaduesimo giorno. Chiedono di essere protetti ed evacuati [1]verso un qualsiasi paese sicuro, perché temono di finire nuovamente nei centri di prigionia o di subire altre violenze. Nessuno ha voluto ascoltare la loro voce, mentre intorno la situazione politica generale dà segnali sempre più preoccupanti.
MARTEDÌ Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Ue Josep Borrell, ancora si augurava che il voto presidenziale si svolgesse come da programma alla vigilia di Natale. Ieri, invece, è stato pubblicato un documento del presidente dell’Alta commissione elettorale della Libia, Imad al Sayedh, che ha ordinato di sciogliere i comitati elettorali in tutto il paese e mettere fine alle loro attività.
La stessa comunità internazionale che ha fallito nell’imporre ai libici di rispettare i diritti umani dei migranti ha scommesso per mesi su un processo elettorale che avrebbe dovuto rappresentare un punto di svolta per il paese e invece non avrà luogo. Intanto sono riprese tensioni e scontri tra milizie e sono stati chiusi i quattro principali giacimenti petroliferi. Martedì la produzione negli impianti di al-Charara, al-Feel, al-Wafa e al-Hamada è stata interrotta da uomini armati affiliati alle guardie che dovrebbero vigilare sulle strutture. Con il blocco protestano contro i ritardi nei pagamenti dei loro stipendi.
«MANTENERE i nostri impegni nei confronti delle raffinerie è ormai impossibile e siamo obbligati a dichiarare lo stato di forza maggiore», ha affermato il responsabile dell’azienda petrolifera statale Noc, Mustafa Sanalla.
* Fonte: Giansandro Merli, il manifesto[2]
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