Libia. Dopo il rinvio del voto cresce il caos, milizie in fermento sulla pelle dei migranti

Libia. Dopo il rinvio del voto cresce il caos, milizie in fermento sulla pelle dei migranti

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Africa. Dopo il rinvio del voto si cerca una «road map», ma non c’è accordo sul referendum costituzionale e cresce il fermento delle milizie armate

 

Il rinvio la scorsa settimana delle elezioni presidenziali e legislative previste per il 24 dicembre ha aperto in Libia una fase politica oscura di cui al momento è difficile prevedere gli esiti. Ieri, nel tentativo di scongiurare il caos istituzionale, 120 deputati del parlamento di Tobruk (in Cirenaica) hanno esaminato la relazione della Commissione incaricata di seguire il processo elettorale. Se al momento è «impossibile» sapere quando si terranno le elezioni, l’obiettivo è per ora «elaborare una road-map realistica all’interno di un quadro costituzionale in modo da non ripetere i passaggi precedenti». A premere sono gli sponsor stranieri. Venerdì Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Stati uniti hanno esortato le autorità libiche «a determinare rapidamente una data finale per il voto e per la pubblicazione senza ritardi della lista finale dei candidati presidenziali».

RICHIESTE che i libici non possono allo stato attuale esaudire. Il doppio voto (presidenziale e parlamentare) proposto dall’Alta commissione elettorale della Libia per il 24 gennaio e sostenuto da 32 candidati presidenti non ha infatti alcuna credibilità se non vengono risolti prima i nodi che hanno impedito il voto di dicembre. Uno dei principali da sciogliere è quello avanzato dall’Alto Consiglio di Stato (il “Senato” con sede a Tripoli) relativo alla necessità di organizzare un referendum costituzionale prima che si voti. Per il presidente del “Senato” al-Mishri è necessario avere una Costituzione che fissi le regole del voto e garantisca che il potere non finisca nelle mani di una personalità divisiva. Di diverso avviso è Tobruk che non vuole il referendum costituzionale e spinge invece per avere le presidenziali e poi il voto legislativo.

A MUOVERE le fila del processo politico ci sarebbero tre candidati presidenziali che mirano a scalzare l’attuale primo ministro Dabaiba e a insediare un nuovo governo. A capo del triumvirato c’è Khalifa Haftar, il generale cirenaico dato per sconfitto dopo la sua fallimentare offensiva anti-Tripoli del 2019, ma che è in forte ascesa al punto da aver preso il controllo della macroregione meridionale del Fezzan le scorse settimane. Gli altri due sono esponenti di primo piano della città-stato di Misurata (Tripolitania): l’ex ministro dell’Interno Bashagha e l’ex vicepresidente Ahmed Maiteeq. Il patto dei tre è stato siglato a Bengasi lo scorso 21 dicembre dopo che i due misuratini erano atterrati dall’Egitto che nella partita libica vuole giocare un ruolo da protagonista. Secondo il giornale locale al-Wasat, nei prossimi giorni si lavorerà per prevenire un vuoto politico e si accelererà per la nomina di un governo tecnocratico con l’ingresso di alcuni nomi dell’est.

LE TENSIONI politiche si riflettono anche sull’industria petrolifera e del gas da giorni bloccata dalle milizie. Un blocco che ha provocato perdite dell’output petrolifero superiori ai 300 mila barili di petrolio al giorno e che sarebbe nato per motivi economici e non per il rinvio delle elezioni, ma che comunque mostra come la galassia delle milizie armate libiche sia in fermento. Le loro azioni violente nelle scorse settimane soprattutto a Tripoli testimoniano come la tensione sia alle stelle.
In questa clima, resta inascoltato il dramma dei civili, soprattutto dei migranti. Sabato l’ultima drammatica scoperta quando le unità della Mezzaluna rossa libica hanno recuperato 28 cadaveri in due località separate della città costiera di Khoms (90 km da Tripoli). Tre i superstiti (in cattive condizioni), diversi cadaveri erano in avanzato stato di decomposizione.

* Fonte: Roberto Prinzi, il manifesto



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