Elezioni in Libia. Le milizie intimidiscono il governo, probabile il rinvio
Libia. Un pronunciamento militare che porta al sempre più probabile rinvio delle elezioni del 24 dicembre, una scadenza, per la verità, in cui nessuno ormai credeva più, visto che l’Alta commissione elettorale libica aveva annunciato il rinvio della pubblicazione della lista definitiva dei candidati presidenziali
Si saranno detti «a casa tutti bene», come nella serie tv dell’esuberante regista Gabriele Muccino. Quanto ormai in Italia sappiamo delle faccende libiche lo cogliamo nell’istantanea che fotografava mercoledì pomeriggio alla Farnesina un sorridente e rilassato Di Maio con la ministra degli esteri libica Najla al Mangoush. In quel momento le milizie libiche Al Samoud si preparavano a sfilare a Tripoli per circondare la sede del governo. Cose che capitano nella capitale: la mattina decolli da ministro, atterri la sera e rischi il posto.
Un pronunciamento militare che porta al sempre più probabile rinvio delle elezioni del 24 dicembre, una scadenza, per la verità, in cui nessuno ormai credeva più, visto che l’Alta commissione elettorale libica aveva annunciato il rinvio della pubblicazione della lista definitiva dei candidati presidenziali. Annusando il fallimento si era dimesso tre settimane fa l’inviato dell’Onu Jan Kubis che non aveva nessuna intenzione di trasferirsi a Tripoli a seguire il processo elettorale come gli era stato ordinato.
A far esplodere la tensione tra le fazioni armate è stata la decisione del presidente del Consiglio presidenziale, Mohammed al Menfi di sollevare dal suo incarico (in qualità di Comandante supremo delle forze armate) il capo del distretto militare di Tripoli, Abdel Basset Marwan, vicino a potenti milizie locali, e di nominare al suo posto il generale Abdel Qader Mansour.
Il siluramento di Marwan, considerato troppo legato al periodo della guerra contro il generale Khalifa Haftar, è stata duramente contestata dalle milizie di Tripoli che lo ritengono una sorta di garante delle loro posizioni. Il nuovo comandate Mansour, come sottolinea l’Agenzia Nova, è invece legato alla 444ma Brigata capeggiata da Mahamoud Hamsa seguace dell’islam salafita in contrasto con le altre milizie di Tripoli. Le ragioni di Menfi di sollevarlo dall’incarico trovavano probabilmente ispirazione esterna: la 444ma Brigata avrebbe un rapporto molto stretto con la Turchia, intervenuta militarmente nel 2019 per fermare il generale Haftar. E questo ha fatto incendiare la situazione. In poche parole alcuni di questi esponenti politici libici sono dei leader di “cartone”, pilotati da fuori e tenuti sotto tiro dalle milizie. “Non ci saranno elezioni presidenziali in Libia, chiuderemo tutte le istituzioni statali”, ha tuonato il leader della Brigata al-Samoud, Salah Badi.
Badi è un misuratino nella lista nera del Consiglio di sicurezza dell’Onu dal 2018 per aver più volte tentato di rimuovere dal potere l’allora Governo di Al Sarraj e per aver condotto azioni armate nella capitale causando vittime civili. Badi ha anche lanciato un duro attacco contro la Consigliera speciale delle Nazioni Unite, l’americana Stephanie Williams, che mercoledì era proprio a Misurata dove sta mestando e rimestando con le autorità locali ma anche con i leader dei gruppi armati, in vista delle presunte elezioni. Senza di loro qui non si combina nulla.
Singolare personaggio Badi: in settembre aveva annunciato di voler rivelare il luogo della tomba dove è sepolto Muhammar Gheddafi insieme al figlio Mutassim, linciati e uccisi alla Sirte il 20 ottobre 2011. Una tomba nascosta che pesa assai visto che il figlio di Gheddafi Seif al Islam è uno dei canditati alla presidenza e diverse tribù sono ancora legate alla memoria del Colonnello.
Badi _ che si chiama Salah al-Din Omar Bashir ed era, prima di ribellarsi al regime, un ufficiale dell’aereonautica di Gheddafi _ è noto anche da noi perché legato al clan Al-Dabbashi, la famiglia che con il sostegno dell’Italia allora a guida Pd, e con Marco Minniti ministro dell’Interno, ha governato Sabrata in cambio di un sostanziale blocco delle partenze dei migranti. Questa città, 70 chilometri a ovest di Tripoli, è sempre stata uno degli snodi principali del traffico di esseri umani. Quello dei migranti è il nervo sensibile: pochi giorni fa a Tripoli, in segretezza, la San Giorgio ha consegnato al governo una centrale elettronica finanziata dall’Ue, e destinata alla Guardia Costiera, ovvero un’altra banda della Tortuga libica.
Più che tentare un golpe, Badi ha dato mercoledì notte, in una Tripoli piombata al buio, il colpo di grazia a una campagna elettorale imperniata attorno alla sfida fra il generale Khalifa Haftar, il figlio del colonnello Seif al Islam Gheddafi e il premier “sospeso” Dbeibah. Un’eventuale vittoria del figlio di Gheddafi, ricercato dall’Aja, sarebbe un duro colpo alle potenze come Francia, Usa e Gran Bretagna che fecero fuori il padre.
La domanda adesso non è più chiedersi quale sarà il risultato delle presidenziali ma cosa farà la Libia senza elezioni mentre il generale Haftar ha rimesso sotto assedio il nodo strategico di Sebha nel Fezzan. Una risposta che forse non hanno in mano neppure gli sponsor delle fazioni libiche, la Turchia di Erdogan in Tripolitania, la Russia, l’Egitto e gli Emirati in Cirenaica. Con la Francia di Macron che, dopo lo strombazzato Trattato del Quirinale, si prepara a diventare presidente di turno dell’Unione per chiedere lo stop ai cosiddetti “movimenti secondari” dei migranti. Questo fumoso documento per le consultazioni bilaterali dovrebbe sancire la pace Italia-Francia dopo che nel 2011 Sarkozy decise di abbattere il nostro maggiore alleato nel Mediterraneo. Ma, onestamente, chi ci crede?
* Fonte: Alberto Negri, il manifesto
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