by Livio Pepino * | 18 Novembre 2021 10:01
Domenica 10 ottobre, nella trasmissione Mezz’ora in più su Rai3, il direttore de la Repubblica Maurizio Molinari, intervistato da Lucia Annunziata, si è esibito, a freddo e senza alcun collegamento con l’oggetto dell’intervista (l’assalto del giorno precedente alla sede della Cgil), in questa singolare dichiarazione: «I No Tav sono un’organizzazione violenta, quanto resta del terrorismo italiano degli anni Settanta. Aggrediscono sistematicamente le istituzioni, la polizia, anche i giornali, minacciano giornalisti a Torino. Per un torinese No Tav significa sicuramente terrorista metropolitano; chiunque vive a Torino ha questa accezione». Il carattere gravemente diffamatorio di tali dichiarazioni è del tutto evidente (guarda il video qui[1]).
Il Movimento No Tav è attivo da oltre 30 anni; ha sempre agito alla luce del sole; è articolato e composito; ha al suo interno gran parte dei sindaci della Val Susa, interi consigli comunali, studiosi di diverse Università; è stato definito “esemplare” nella sentenza 8 novembre 2015 del Tribunale permanente dei popoli; ha organizzato e gestito centinaia di manifestazioni con la partecipazione di decine di migliaia di persone.
In questa storia trentennale ci sono stati anche, come in gran parte dei conflitti sociali, episodi di violenza e scontri con le forze di polizia che peraltro, seppur enfatizzati dai media, sono stati limitati e circoscritti.
In ogni caso, anche quegli episodi non hanno nulla a che fare con il terrorismo. La stessa Procura di Torino, nella sua lunga crociata contro il Movimento, ha fatto ricorso alla contestazione di terrorismo per un unico episodio e nei confronti solo di quattro giovani: ed è stata totalmente smentita dai giudici, che hanno assolto gli imputati, in tutti i gradi di giudizio, «perché il fatto non sussiste».
Da domani, dunque, centinaia (forse migliaia) di militanti e decine di associazioni impegnate nell’opposizione al Tav cominceranno a presentare alla Procura di Torino, in commissariati di polizia e in stazioni dei carabinieri di mezza Italia querele per diffamazione contro Molinari, che risponderà in tribunale delle sue affermazioni.
È, anche questo, un esercizio di democrazia in un Paese in cui, a fianco di poteri forti che cercano di intimidire giornalisti onesti con querele e richieste risarcitorie temerarie, ci sono altrettanti poteri forti che usano giornali e giornalisti per cercare di intimidire, criminalizzandoli, singoli e movimenti non appiattiti sul pensiero dominante.
Ma la questione non si ferma qui. Molinari non è un giornalista alle prime armi e neppure uno sprovveduto. Dunque, la sua esternazione non può essere considerata una semplice defaillance in un curriculum che pure ne comprende molte, a cominciare dall’editoriale de La Stampa dell’11 novembre 2018, all’indomani della manifestazione pro Tav delle “madamine” e dell’establishment sabaudo, comprensivo di passaggi in puro stile “Istituto Luce” del ventennio: «I torinesi di ogni estrazione, origine, fede, genere ed età sono scesi in piazza a bassa voce, senza bandiere di partito o slogan per rigettare gli estremisti della decrescita che non hanno voluto le Olimpiadi 2026, non vogliono l’Alta velocità, tagliano i fondi alla cultura, vogliono chiudere i negozi la domenica, non proteggono le famiglie da insicurezza, diseguaglianze e degrado. Perché questi luddisti del XXI secolo hanno priorità tutte al negativo: contro l’Europa, il Parlamento, i mezzi di informazione, i sindacati, le imprese, le banche, i migranti (sic!) e tutti i cittadini che non la pensano come loro. È una sfida sulla modernità. Condita dai simboli di Torino: la gigantografia di Cavour, i cartelli sui piemontesi europei, gli applausi per Pininfarina e Marchionne, il canto finale dell’inno di Mameli e una piazza senza neanche una carta in terra quando la folla è andata via. Con la schiena diritta».
Questa volta – anche se sembra impossibile – Molinari è andato oltre. Non per caso, ma per due ragioni fondamentali.
La prima è la sempre più evidente insostenibilità – economica, sociale ed ecologica – della progettata Nuova Linea Ferroviaria Torino-Lione: con essa rischia di crollare l’intero «sistema Torino» che, per questo, chiama a raccolta i suoi epigoni e portavoce (di cui i quotidiani del Gruppo Agnelli-Elkan sono parte integrante) per interventi senza esclusione di colpi.
La seconda è ancor più grave e sta nella volontà di radicalizzare il conflitto sociale in atto per preparare irrigidimenti repressivi, con venature di stampo autoritario, di cui già si vedono le avvisaglie (e non solo).
Si tratta, in entrambi i casi, di disegni non nuovi ma colpisce la spregiudicatezza con cui vengono oggi perseguiti, che la dice lunga sulle scelte politiche della borghesia del Paese.
Smascherare l’operazione, anche con centinaia o migliaia di querele, è un ulteriore merito del Movimento No Tav.
* Fonte: Livio Pepino, il manifesto[2]
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