Pandemia. La giurista: punire i no vax «non è la strada giusta»

Pandemia. La giurista: punire i no vax «non è la strada giusta»

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Il nuovo decreto. Draghi punta sulla coercizione per portare a vaccinarsi chi non l’ha ancora fatto. Ma molti esperti ritengono che non sia la strategia più adatta per aumentare la copertura vaccinale. La giurista Ines Ciolli: «Sembra una norma sproporzionata e dettata da una logica esclusivamente punitiva che la legge non dovrebbe mai avere»

 

«Vietato l’ingresso ai no vax». Se lo scrivesse un barista sulla sua vetrina, i ributtanti paragoni tra gli ebrei sotto il nazismo e chi oggi si ritiene sottoposto alla “dittatura sanitaria” già visti in piazza a Novara si moltiplicherebbero. Se a deciderlo è il governo, il rischio di attizzare animi già accesi è ancora più concreto. Draghi però tira dritto in un’escalation che da mesi rende sempre più difficile la vita di chi, per una ragione o l’altra, abbia deciso di non vaccinarsi. Con il green pass rafforzato, bar, ristoranti, palestre, cinema e altri luoghi della socialità sotto Natale saranno off limits per circa otto milioni di persone.

DAL PUNTO DI VISTA delle vaccinazioni, finora questa strategia non ha portato grandi risultati. Da quando il green pass è diventato obbligatorio, il numero di nuove vaccinazioni è sceso a 15 mila al giorno di media. In compenso, il discorso pubblico si è polarizzato fino al parossismo. «Questa è tortura!», «Resistere resistere resistere», «mi sento violentata!» si legge su un gruppo Facebook di lavoratori della scuola contrari all’obbligo vaccinale, che dal 15 dicembre dovranno scegliere se immunizzarsi o perdere il lavoro in base al nuovo decreto.

MA ANCHE NEL FRONTE di chi crede fermamente nel vaccino c’è perplessità nei confronti della strategia draghiana. Stefania Salmaso, epidemiologa che ha diretto dal 2004 al 2015 il Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Iss, non è certo sospettabile di simpatie no vax. Eppure ritiene che la coercizione non sia la strada giusta.

Come ha sostenuto recentemente anche sul sito scienzainrete.it, il governo non ha esplorato strumenti previsti normalmente dalle campagne vaccinali che avvicinano la sanità alla cittadinanza. «La chiamata attiva da parte dei medici di base, ad esempio» spiega l’epidemiologa. «Ognuno di noi è registrato presso un medico: perché non chiamare chi non si è vaccinato per capire le origini di questa scelta, e se possibile modificarla?». Spesso non vaccinarsi non è una scelta, ma è il risultato di una serie di ostacoli. «Uno studio recente dell’Ats di Milano pubblicato su Epidemiologia e Prevenzione – prosegue Salmaso – ha mostrato che tra le persone non vaccinate ci sono soprattutto persone che vivono in zone disagiate, stranieri, donne. Forse non si tratta di no vax, ma di situazioni dettate da condizioni sociali, ostacoli oggettivi o dalla cattiva comunicazione. Ci sono 230 mila ultraottantenni non vaccinati: sono no vax, o magari non dispongono di uno smartphone per prenotare? Sulle donne hanno pesato molto i timori legati al vaccino AstraZeneca, spesso esagerati. Contattandoli non recupereremmo otto milioni di persone non vaccinate, ma magari due sì. E sarebbe molto utile».

SULLA CHIAMATA ATTIVA si basano con successo le campagne vaccinali nelle fasce pediatriche, ma richiedono persone e mezzi. «Potrebbero occuparsene anche i dipartimenti di prevenzione delle Asl, ma non hanno l’organico sufficiente: gli operatori di rinforzo sono stati assunti a tempo determinato e i loro contratti sono scaduti il 31 ottobre».

ANCHE TRA I GIURISTI c’è chi è perplesso da una comunicazione pubblica che rischia di creare fratture di cui non si sente il bisogno. Ines Ciolli studia e insegna diritto costituzionale alla Sapienza di Roma e non ha dubbi sulla necessità di una copertura vaccinale più ampia possibile. Sulla ragionevolezza e proporzionalità del decreto di Draghi però non scommetterebbe.

«Certe misure molto rigide potevano essere giustificate da una situazione sanitaria eccezionale», spiega Ciolli. «Ma l’Italia non è l’Austria, e abbiamo una copertura vaccinale invidiabile. Persino in zona bianca, e in assenza di obbligo vaccinale, si vieta l’ingresso a bar e cinema a chi però sale sull’autobus e va al lavoro con il tampone. Sembra una norma sproporzionata e dettata da una logica esclusivamente punitiva che la legge non dovrebbe mai avere».

È VERO CHE CHI non si vaccina può contagiare di più, ma è un rischio che non si azzera nemmeno con il vaccino: ha senso fare una distinzione così netta? Il timore è che si scada nel paternalismo di governo, un confine che secondo lo storico della medicina Gilberto Corbellini è già superato da un pezzo. Nemmeno Corbellini ha alcuna propensione antivaccinista e al ruolo civilizzatore della scienza ha dedicato diversi saggi. Da liberale doc però è critico con il green pass, e figuriamoci con quello rafforzato. «L’obiettivo è allargare la copertura vaccinale? Le persone non si vaccineranno certo per andare al cinema. Il green pass crea burocrazia e necessità di controlli che non siamo in grado di effettuare. È più efficace parlare con gli esitanti, non andare a stanare i pochi no vax: siamo uno dei paesi più virtuosi d’Europa, così si getta benzina sul fuoco». Piuttosto, secondo Corbellini bisogna puntare sulla vaccinazione dei bambini. «Negli Usa sono stati vaccinati al 25%, e anche da noi mi attendo una percentuale analoga. Sarebbero comunque moltissimi in assoluto, e porterebbero in poco tempo a una copertura molto più ampia».

Ma intanto nei luoghi di lavoro, a scuola e spesso persino in famiglia dialogare diventa difficile e tra chi la pensa diversamente si scavano fossati sempre più profondi. Che assomigliano a trincee da difendere ad ogni costo.

* Fonte: Andrea Capocci, il manifesto



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