by Marco Perduca * | 30 Novembre 2021 9:07
«Silence = Death» fu lo slogan del collettivo Usa Act up che negli anni ‘80 lottava perché il Governo Reagan riconoscesse l’esistenza delle persone che vivevano con Hiv/Aids per consentire loro di esser aiutate, e non condannate a morte, per comportamenti che il virus aveva fatto divenire ad altissimo rischio. Il silenzio resta il più potente alleato della conservazione di impostazioni dominanti e sempre più spesso diventa la risposta delle istituzioni di fronte a temi chiamati «eticamente sensibili» che invece hanno a che fare con libertà di scelta e autodeterminazione delle persone. Silenzi imposti a chi critica le istituzioni ma anche alle ricerche e alla produzione di evidenze scientifiche che possono offrire risposte a problemi tanto complessi quanto diffusi nella società.
La VI Conferenza nazionale sulle droghe di Genova, ribattezzata sulle dipendenze e intitolata «Oltre le fragilità», ha finalmente rotto questo silenzio istituzionale. Gli ultimi minuti dell’incontro hanno confermato che se si recuperano al confronto tra competenze fenomeni espulsi o silenziati dal dibattito pubblico è possibile smontare il discorso pubblico che per anni li ha inquadrati in un preciso quadro normativo con le conseguenti sovrastrutture propagandistiche. Onore quindi alla Ministra Dadone per aver rispettato il Testo Unico sulle droghe convocando la Conferenza e per – malgrado un processo preparatorio criticabile e pubblicamente criticato – aver prodotto raccomandazioni che hanno messo in mora un quadro normativo che in 30 anni ha creato molti più problemi di quelli che, in teoria, voleva risolvere. Avendo ascoltato le posizioni di quasi tutti i Ministri coinvolti – gravissima l’assenza ingiustificata di Roberto Speranza – si può dire che, per una volta, la toppa non è stata peggio del buco.
Onore a Dadone anche per aver mantenuto l’impegno di confrontarsi privatamente e pubblicamente con la società civile che da subito l’aveva incalzata perché l’incontro non fosse una passerella di dichiarazioni ma un momento di confronto volto alla ricerca di compromessi in crescita. Anche se ad alcune tra le componenti più attive della «Rete per la riforma delle politiche sulle droghe» non è stata concessa la presenza alla Conferenza, la loro voce è stata ascoltata e, in buona parte, inclusa nel documento finale.
Riprendere le fila di un fenomeno complesso come quello delle “droghe”, e che comunque vede nelle “dipendenze” il momento finale della presenza nelle nostre vite di sostanze rese arbitrariamente illecite in tutto il mondo da 1961, non era agevole. Come spiegato dalla ministra, il tempo a disposizione di questo governo non è certo, quindi meglio tardi che mai. La Conferenza non era partita bene, mancava una valutazione dell’impatto di una legge che poggia strutturalmente sul diritto penale, i gruppi di lavoro non sempre erano focalizzati sul tema per cui erano stati convocati, molti “esperti” in divisa o in là con gli anni, scarso ascolto a chi usa e lavora in strada e totale economia degli sviluppi internazionali.
Questa impostazione “fragile”, che ha animato dibattiti all’interno della società civile storicamente più proattiva sugli stupefacenti, non ha impedito che i fatti e le esperienze alla fine potessero emergere. Il lavoro di coordinamento del Cnr, grazie spesso a un precariato tanto competente quando disponibile e coinvolto nella buona riuscita dell’incontro, ha garantito la qualità del prodotto finale.
Nel chiudere l’incontro, la ministra ha chiesto di «mettere da parte le ideologie» – una formula di rito che è parso un implicito invito ai suoi più che agli antiproibizionisti che da sempre offrono regole e risposte alternative per togliere dalle maglie penali condotte che non creano vittime e non impattano sulla salute pubblica (due anni di pandemia dovrebbero aver chiarito quale sia la differenza tra sfera personale della salute e quella sociale!).
Il corposo documento finale carico di proposte di buon senso che verrà inviato al Parlamento contiene anche valutazioni relative ai livelli di consenso tra gli esperti e il tasso di fattibilità delle modifiche. Il primo batte spesso la seconda; starà adesso a chi ha a cuore le riforme farsi parte attiva nella ricerca di soluzioni perseguibili pragmaticamente là dove la praticabilità pare minore. In linea con questa impostazione critica della legge, occorre che il Governo non la difenda in Camera di Consiglio l’anno prossimo quando si dovrà decidere sull’ammissibilità del referendum cannabis.
* Fonte: Marco Perduca, il manifesto[1]
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