by Luca Manes * | 7 Novembre 2021 9:14
Assalto al cielo. Nella città scozzese un corteo lungo 5 chilometri assedia la Cop26. Ma la protesta è globale: dall’Australia alla Corea al Sudafrica
GLASGOW. La giornata globale per la giustizia climatica, promossa da oltre 100 organizzazioni di tutto il mondo ha avuto il suo apice a Glasgow, dove è attualmente in corso la Cop26.
Nonostante delle condizioni meteorologiche proibitive, con violenti acquazzoni e un vento gelido ad accompagnare la lunga marcia degli attivisti, la manifestazione si è rivelata un successo ben oltre le aspettative degli organizzatori, che prevedevano una partecipazione di 100mila persone. A percorrere i cinque chilometri di strada tra il Kelvingrove Park e Glasgow Green c’erano circa 200mila persone, tanto che la coda del corteo è riuscita arrivare alla destinazione finale solo un’ora dopo rispetto al primo troncone.
UN SERPENTONE COMPOSTO da vari spezzoni, a partire, come nella manifestazione indetta venerdì dai Friday for Future, da quello dei popoli indigeni, seguito dai segmenti sulla giustizia climatica, la giustizia antirazzista, dei migranti e dei lavoratori. Ben visibili le bandiere di uno dei principali sindacati britannici, il Gmb, in piazza anche per sostenere le istanze dei netturbini di Glasgow, al momento in stato di agitazione.
Un corteo gioiosamente colorato e rumoroso, con una colonna sonora composta dalla musica dei sound system e delle orchestrine e arricchita qua e là da qualche isolato suono di cornamusa, che da queste parti non poteva proprio mancare. La sensazione è che ormai la Cop26 stia passando in totale secondo piano, quasi che tutti avessero metabolizzato il messaggio giunto ultimi giorni e esplicitato venerdì sera da Greta Thunberg: questo vertice è un totale fallimento. Mentre i negoziatori dei vari governi del Pianeta si spendono in uno sterile esercizio di pubbliche relazioni, sempre per parafrasare l’attivista svedese, la società civile si prende i suoi spazi, intrecciando i temi della gistizia climatica e ambientale con quelli della giustizia sociale, e diventa l’unica buona notizia di queste due settimane di vertice scozzese.
IL RICONOSCIMENTO dell’importanza di quanto visto nella due giorni di cortei arriva dagli stessi abitanti di Glasgow che schierati ai lati del serpentone applaudono i manifestanti. Un gesto quasi liberatorio, dopo giorni caratterizzati da un’enfasi assai mal riposta sui disagi e il pericolo di incidenti che avrebbero dovuto abbattersi sulla città. Non a caso lo spiegamento di forze dell’ordine era molto imponente, con decine di poliziotti posizionati su tutto il tragitto e due elicotteri a fare da sgraditi «angeli custodi» agli attivisti per il corso della giornata. Una mossa del tutto ingiustificata e criticata senza mezzi termini dai promotori dell’evento.
ANCHE LE AZIONI DIRETTE si sono svolte senza incidenti di rilievo. In particolare ieri mattina, poco prima dell’inizio della manifestazione, una ventina di esponenti di Scientist Rebellion, tutti rigorosamente con il camice da laboratorio e catene al collo, aveva bloccato il ponte King George V.
La giornata di mobilitazione globale è stata celebrata anche in altre parti del mondo: le manifestazioni nelle Filippine, in Australia, in Corea del Sud e in Indonesia hanno passato il testimone a Glasgow. Ma in Europa si è scesi in piazza anche a Londra, Olanda, Parigi e Bruxelles, dove il gruppo locale di Extinction Rebellion ha occupato alcune strade.
OVUNQUE LA PROTESTA è stata fantasiosa e incisiva. A Glasgow a slogan semplici e diretti come «non possiamo bere denaro», «codice rosso per l’umanità, l’apocalisse è adesso», si alternavano ha messaggi molto più complessi e articolati, che vanno però dritti al cuore del sistema messo in piedi dai governi, troppo spesso per compiacere le multinazionali. Allora basta con l’Energy Charter Treaty e il meccanismo di arbitrato denominato Investor State Dispute Settlement (Isds), entrambi visti come strumenti fin troppo proni agli interessi delle compagnie private. Lo denunciano in maniera graffiante e creativa i Corprat, travestiti a metà da topi e a metà da manager delle corporation (il nome è un gioco di parole in inglese piuttosto comprensibile anche nella nostra lingua). Ma non è certo banale la scritta net zero sbarrata, perché il proposito dei governi di pareggiare le emissioni rilasciate in aria con quelle «catturate» non convince proprio nessuno.
SERVE MOLTO DI PIÙ per proteggere dagli effetti dei cambiamenti climatici soprattutto le popolazioni del Sud del mondo, come già accennato anche ieri dalle protagoniste della manifestazione. Tra i più numerosi i brasiliani, non solo dall’Amazzonia ma anche dal sud del Paese. «Vengo da una regione dove si trova la foresta Atlantica e la situazione che stiamo vivendo è drammatica», spiega Kreta, dell’organizzazione Apib. «Il governo incentiva l’invasione dei territori indigeni da parte di gruppi armati che scacciano le comunità per favorire la deforestazione e l’estrazione dell’oro». Uno dei tanti pro memoria inviati da Glasgow al presidente Bolsonaro, nemico numero uno del clima e delle popolazioni indigene. Dal palco di Green di Park intervengono in tanti. Vanessa Nakate, la giovane attivista ugandese seconda solo a Greta per popolarità attacca: «Le parole dei leader non sono accompagnate dai fatti, basta con questi vertici senza significato, servono azioni concrete, e servono adesso«. E aggiunge: «Insieme siamo forti, e possiamo far sì che il cambiamento avvenga. Un altro mondo è possibile».
* Fonte: il manifesto[1]
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