Il “rischio eccentrico” che cancella la verità sui morti in carcere
Intervista a Simona Filippi di Antigone.
Mentre l’archiviazione delle nove morti di Modena del marzo 2020 non lascia altra via che il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, un secondo procedimento, quello relativo alle violenze inflitte ai detenuti durante quelle tragiche ore, è in corso. Aperto grazie alle testimonianze coraggiose di alcuni detenuti, il procedimento si avvale delle immagini delle registrazioni dalle telecamere interne. L’esistenza di queste immagini era già citata nello stesso provvedimento di archiviazione, che le ha destinate all’oblio. Ora fare nuova chiarezza dipende da quanto deciderà la procura di Modena rispetto al procedimento: si ripeterà il copione di una nuova archiviazione o si andrà a processo?
Facciamo il punto con Simona Filippi, avvocata, responsabile del contenzioso per l’Associazione Antigone.
Antigone è molto presente in tutta la vicenda di Modena, vi eravate presentati come parte offesa. Com’è andata?
Sì, Antigone si era costituita come parte offesa e aveva presentato opposizione alla richiesta di archiviazione. Nel decidere l’archiviazione del procedimento sulle nove morti avvenute nel carcere di Modena, il giudice ha dichiarato anche inammissibile la richiesta dell’associazione, come per altro quella del Garante nazionale. Noi abbiamo fatto reclamo contro questa decisione, e ora attendiamo l’esito. Va detto però che si tratta di una questione procedurale che, anche nel caso di un esito positivo, non è destinata ad avere un reale impatto nel merito: al più, infatti, ci vedremo riconosciuti come parte offesa, ma questo avrà purtroppo una scarsa incisività circa la riapertura del procedimento. Il giudice che ha deciso l’archiviazione ha infatti costruito le sue motivazioni in un modo che lascia davvero poco spazio, centrando sul cosiddetto “rischio eccentrico”.
Il “rischio eccentrico” è quel concetto secondo cui in una situazione eccezionale come sarebbe stata la rivolta di Modena, alla fin fine non si configura alcuna responsabilità dell’amministrazione, nemmeno quando si contano nove morti. È così?
Sì. Il giudice dice: preso atto che questa rivolta è stata un evento grave, assolutamente eccezionale, che i detenuti erano violenti e hanno distrutto il carcere, anche ammettendo che avrebbero potuto essere assistiti, che si sarebbero dovute fare le visite mediche, che si sarebbe potuto avere maggiore attenzione alle loro vite, tuttavia, proprio questa eccezionalità copre gli errori eventualmente commessi e non si riconosce alcuna responsabilità circa le conseguenze di questi errori. È questa costruzione, imperniata appunto sul “rischio eccentrico”, che si oppone a quanto noi andiamo sostenendo, che è l’esatto contrario: noi diciamo che è vero che la situazione era difficile, ma era inequivocabile – e le indagini lo dicono con chiarezza – che già nel primo pomeriggio, e a ridosso dell’appropriazione dei farmaci in infermeria, molti detenuti stavano già male ed erano in overdose, compresi alcuni di coloro che sono morti. C’era cioè una evidente consapevolezza da parte di agenti e medici di quanto stava accadendo, e c’era il tempo per intervenire. Per questo sosteniamo che la rivolta e il gran disordine che sicuramente c’erano non bastano a escludere le responsabilità della catena di comando. Solo un processo poteva accertare queste dinamiche e queste responsabilità. Ma il meccanismo su cui è imperniata l’archiviazione, proprio attorno al “rischio eccentrico”, taglia completamente le gambe alle nostre contestazioni, e temo renda più che difficile l’ipotesi di riapertura del procedimento.
Tu sottolinei con forza la particolarità dell’approccio adottato dalla magistratura di Modena. Puoi spiegare meglio cosa ti colpisce in particolare?
L’approccio tenuto a Modena non mi ha convinto fin dal primo momento. Faccio un parallelo con un’altra situazione, quella di Santa Maria Capua Vetere e delle violenze ai danni dei detenuti. Lì ci sono state violenze inaudite e anche un morto. Fin dal primo momento se ne è percepita l’enormità, ma si è percepita anche la presenza forte della procura, oltre all’intervento incisivo della magistratura di sorveglianza e del garante. La magistratura ha messo subito dei punti, ha colto l’enormità dei fatti, è intervenuta tempestivamente. Non ho percepito la stessa cosa a Modena, è questo ci ha messo subito in allarme. Se muoiono nove persone – ma fosse anche “solo” una persona detenuta che muore – è un fatto gravissimo. E infatti la procura di Santa Maria Capua Vetere procede ora per omicidio colposo per la morte del ragazzo algerino che ha subito torture, deceduto venti giorni dopo i fatti. A Modena i morti sono stati nove! È ovvio che la procura dovrebbe partire con una forte attività inquirente per accertare fatti così gravi. Ma è evidente che ci sono stati due atteggiamenti opposti da parte delle due procure. Nell’archiviazione si insiste continuamente su quanto i detenuti hanno distrutto, ma si vuole considerare che sono morte nove persone? È proprio l’impostazione che non si può accettare.
Dunque, anche per questa impostazione, non ci sono più spazi?
L’unica prospettiva mi pare quella di ricorrere alla Corte Europea dei Diritti Umani. A meno che non vi siano felici sorprese: il nostro reclamo ci porterà davanti a un giudice e in quella sede potrebbe accadere che un nuovo giudice abbia uno sguardo diverso. Però va detto che è difficile: tra la nostra visione dei fatti e quella espressa nel provvedimento di archiviazione non ci sono margini di ambivalenza, o crolla tutta quella impostazione perché davvero il nuovo giudice cambia le carte in tavola, oppure non è pensabile trovare soluzioni di compromesso.
Dicevi dunque che la Corte Europea è l’unica possibilità.
Sì, ci stiamo lavorando. A differenza della difesa di Hafedh Chouchane, che ha sei mesi di tempo per preparare il ricorso, noi abbiamo un margine maggiore. È un lavoro complesso, si tratta di avere ben chiaro che tipo di pronuncia chiedere, probabilmente si tratta di prospettare una violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, anche pensando ai trattamenti inumani inflitti. Anche qui va detto che la formulazione della richiesta di archiviazione non gioca a favore. In ogni caso andiamo avanti, dobbiamo elaborare un ricorso fatto al meglio.
C’è un altro procedimento che è in corso, ed è quello che riguarda le violenze ai danni dei detenuti nel carcere di Modena, durante la rivolta. È un procedimento che dobbiamo alla voce coraggiosa di alcuni detenuti, che hanno denunciato le violenze e tutte le omissioni che hanno portato alla morte di Sasà Piscitelli. Questo provvedimento si intreccia in qualche modo con quello archiviato? Può gettare nuova luce?
Non è che si intreccia, però pensiamo che quello che è solo citato nel procedimento archiviato relativo alle morti, cioè l’esistenza di registrazioni video dalle telecamere interne, sia incluso anche in questo procedimento, e che dunque queste immagini possano gettare luce sia sulle violenze che più in generale sulle dinamiche di quelle ore. In un caso su nove l’autopsia è stata parziale, e ha lasciato aperti degli interrogativi sulle lesioni riscontrate; dunque, in questo singolo caso le immagini video potrebbero fare direttamente chiarezza. Negli altri casi, per quanto riguarda soprattutto i tre detenuti morti all’interno delle sezioni, potrebbero gettare luce sul clima di quel momento, sui comportamenti degli agenti. Il famoso “rischio eccentrico” enfatizza la violenza da parte dei detenuti, le immagini potrebbero rivelare uno scenario diverso, di violenza da parte anche della polizia penitenziaria. Una diversa ricostruzione del clima in quelle ore potrebbe essere significativa.
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