Somalia, stragi jihadiste e scontri di potere, il paese tra due fuochi

by Stefano Mauro * | 26 Settembre 2021 19:15

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Crisi infinita. Il primo ministro Mohamed Hussein Roble e il presidente della repubblica ad interim Mohammed Abdullahi, detto Farmajo, ai ferri corti. E permane lo stallo sulle elezioni. Al-Shabaab tira dritto: autobomba contro un posto di blocco a Mogadiscio, almeno 8 i morti

Si aggrava la crisi ai vertici del potere in Somalia, con lo scontro tra il primo ministro Mohamed Hussein Roble e il presidente della repubblica ad interim Mohammed Abdullahi, detto Farmajo.il primo ministro Mohamed Hussein Roble e il presidente della repubblica ad interim Mohammed Abdullahi, detto Farmajo.

Una crisi, cominciata due settimane fa, che sta causando nel paese e nella capitale Mogadiscio un nuovo clima di tensione, in un difficile contesto che vede la Somalia alle prese con uno stallo elettorale per le future presidenziali – rimandate dallo scorso febbraio -. e i continui attentati di matrice jihadista condotti dal gruppo Al-Shabaab, affiliato ad Al Qaeda.

Proprio nella serata di venerdì il gruppo jihadista ha rivendicato l’esplosione di un’autobomba a un posto di blocco nelle vicinanze del palazzo presidenziale che ha causato almeno 8 vittime e 12 feriti e che si aggiunge all’attentato della scorsa settimana con altri 15 militari delle forze di sicurezza uccisi.

Il feroce conflitto ai vertici dello stato somalo è cominciato quando Mohamed Roble ha licenziato prima Fahad Yasin – stretto alleato di Farmajo e potente capo della National Intelligence and Security Agency (Nisa) – e poi il ministro della Sicurezza, Hassan Hundubey Jimale, a causa degli scarsi risultati ottenuti anche in merito all’indagine sul rapimento di una sua collaboratrice, finita con un nulla di fatto.

Come risposta il presidente Farmajo ha nominato il suo vecchio amico Fahad – un grande artefice della sua vittoria presidenziale del 2017 – consigliere presidenziale per la sicurezza e ha revocato nei giorni scorsi «i poteri decisionali attribuiti al primo ministro» a causa di comportamenti «incostituzionali».

L’escalation preoccupa la comunità internazionale, a meno di cinque mesi dagli ultimi scontri armati a Mogadiscio. Recentemente, in una dichiarazione congiunta, l’Onu, gli Stati uniti, l’Ue e l’Unione africana hanno esortato i leader somali «a disinnescare il confronto politico», chiedendo in particolare «il completamento del processo elettorale senza ulteriori indugi».

Lo scorso aprile – dopo la nomina da parte del parlamento di Farmajo ad altri due anni di presidenza ad interim ed il rischio di una nuova guerra civile – lo stesso Farmajo si era rivolto a Roble per disinnescare una difficile situazione e gli aveva affidato il compito di organizzare le elezioni presidenziali. Missione compiuta in un mese da parte del primo ministro che era riuscito a trovare un accordo con i governatori dei 6 stati semi-autonomi (Puntland, Galmudug, Jubaland, South West State, Hirshabelle e Somaliland) e le loro spinte indipendentiste.

«Questo conflitto rischia di compromettere l’accordo raggiunto grazie alla capace mediazione di Roble» ha dichiarato Omar Mahmood, analista dell’International Crisis Group (Icg), con le presidenziali previste per  il 10 ottobre a rischio, visto che l’iter organizzativo per la nomina dei membri della camera bassa, ultimo passo prima dell’elezione del capo dello Stato, è già in ritardo.

Molti analisti ritengono che lo stallo elettorale abbia distolto l’attenzione da altre questioni critiche per la Somalia, tra cui l’insurrezione jihadista di Al-Shabaab, che sta colpendo costantemente nel paese e che ha dichiarato di «volersi ispirare alla vittoria dei Talebani in Afghanistan per la creazione di un emirato nel Corno d’Africa».

* Fonte: Stefano Mauro, il manifesto[1]

 

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