Libano. Al via il nuovo governo, ma la crisi permane grave
Beirut. Il miliardario Najib Mikati, già bersaglio della rivolta scoppiata nella sua Tripoli nel 2019, presenta la nuova squadra di ministri
BEIRUT. Dopo un anno e un mese di falliti tentativi il Libano ha un nuovo governo. Najib Mikati, miliardario tra i più ricchi del Libano e del Medioriente, guiderà un esecutivo di 23 ministri e una ministra. Incaricato il 26 luglio dopo il passo indietro di Hariri, Mikati e la sua squadra sostituiranno quella del dimissionario Diab, che aveva rimesso l’incarico pochi giorni dopo l’esplosione del 4 agosto 2020 al porto di Beirut nella quale persero la vita più di 200 persone, (ferite oltre 6mila e 300mila furono sfollate). I danni alla città e all’economia del paese restano incalcolabili. Del dramma e dei disordini post-traumatici delle persone non si parla mai abbastanza.
AL TERZO MANDATO come premier, già ministro dei Trasporti e opere pubbliche, amico degli Assad siriani, Mikati è stato uno dei bersagli principali della thaura (rivolta) scoppiata nel 2019. Nella sua Tripoli il neo-premier aveva allora rappresentato quella classe politica in carica da sempre e quel potere a gestione familiare fatto di corruzione e clientelismo contro cui il popolo gridava «Tutti vuol dire tutti». La procuratrice di stato Ghada Auon lo aveva denunciato proprio nel 2019 di essersi arricchito illegalmente con finanziamenti a tasso agevolato.
TRA I NOMI PIÙ O MENO NOTI, ma comunque riconducibili a blocchi di potere consolidati, emerge quello del direttore delle operazioni finanziarie della Banca centrale libanese Youssef Khalil in quota Amal, uomo vicino al leader del partito sciita Berri – terza carica dello stato – e vicinissimo al governatore della Bcl Riad Salameh, considerato il Madoff libanese e accusato di aver architettato uno schema Ponzi che avrebbe portato alla crisi finanziaria del 2019 e sotto processo in Francia e Svizzera per trasferimenti illeciti e riciclaggio.
KHALIL, NON NUOVO A CRITICHE sulla sue presunte operazioni di ingegneria finanziaria, era stato respinto dal presidente Aoun nei mesi passati e il suo era uno di quei nomi su cui l’impasse non riusciva a sbloccarsi. Da segnalare anche George Khordahi, noto presentatore televisivo di un «chi vuol esser milionario libanese», all’informazione e Firas Abiad, capo dell’ospedale universitario Rafiq Hariri divenuto famoso durante la pandemia, alla salute.
Sarà stato l’incontro Mikati-Bassil, delfino e genero di Aoun, per dirimere le tensioni sull’assegnazione dei ministeri, saranno state le pressioni di Francia e Stati uniti, il Libano ha adesso un governo che deve far fronte alla crisi economica più difficile della sua storia, peggiore di quella della guerra civile (1975-90) a detta di svariati analisti: svalutazione della moneta oltre il 150%, inflazione ormai fuori ogni controllo.
LE CRISI SONO MOLTEPLICI. Negli ultimi mesi il governo non è più riuscito a sussidiare la benzina per cui oltre all’aumento vertiginoso del suo prezzo, ne sono diminuite le importazioni che hanno sia paralizzato il paese in quanto il trasporto è solo su gomma e soprattutto limitato la produzione di energia elettrica quasi interamente prodotta a diesel. Il paese adesso ha una media di 12-13 ore di blackout al giorno. Non si trovano più medicinali, anche quelli più basilari, o latte in polvere, gli ospedali sono al collasso ormai da mesi, i generi alimentari hanno prezzi proibitivi e a ciò si lega una crescente malnutrizione, come certificano le agenzie Onu. Le richieste di visti danno il polso di una diaspora biblica: solo ad agosto ne sono state contate 240mila su 6milioni di abitanti.
«TUTTI ASPETTANO che ci mettiamo a lavoro» dichiara il premier, riferendosi a Fondo monetario internazionale, donatori e organismi internazionali ai quali presenterà il piano economico. Per Borrel, capo della diplomazia europea, «è arrivato il momento delle riforme tanto attese». E Macron saluta il nuovo governo come «tappa indispensabile» per «far uscire il Paese dalla crisi».
Un governo molto politico e poco tecnico, contrariamente a quanto detto finora, ma ovviamente Mikati assicura: non ci saranno speculazioni politiche.
* Fonte: Pasquale Porciello, il manifesto
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