by Michele Giorgio * | 14 Settembre 2021 10:20
Orly Noy, di Mekomit, è stata sospesa per tre giorni dal social di Mark Zuckerberg. Intanto la famiglia denuncia il pestaggio subito da Zubeidi dopo la cattura seguita alla sua fuga dal carcere di Gilboa. Dei sei evasi, due sono ancora liberi
GERUSALEMME. Orly Noy è una attivista ebrea israeliana e una giornalista, di Mekomit (+972 la versione in lingua inglese) piuttosto conosciuta negli ambienti della sinistra. Ieri anche lei, come denunciano da tempo i palestinesi, ha fatto i conti con la censura di Facebook. Il social del miliardario Mark Zuckerberg l’ha bloccata per tre giorni per «violazione delle regole». Aveva scritto che Zakaria Zubeidi, il più noto dei sei prigionieri politici palestinesi evasi nella notte tra il 5 e il 6 settembre dal carcere di Gilboa, è un «combattente per la libertà». Nel testo, ha spiegato la giornalista, «ho presentato il contesto in cui si è formata la traiettoria tragica ed eroica della vita di Zubeidi. Ho scritto che è un eroe non perché ha combattuto ma perché ogni palestinese che sopravvive all’occupazione e insiste per vivere è un eroe, anche senza sollevare una pietra». Ma le «regole» le hanno fissate un paio d’anni fa le autorità israeliane durante un incontro con i vertici di Facebook e Zubeidi non può essere altro che un «terrorista». Noy ha ricordato che «dal 1967 a oggi un palestinese su cinque è stato in una prigione israeliana» (al momento circa 5mila mila sono in carcere, alcune centinaia senza processo) e che per Israele tutti i palestinesi sono potenziali terroristi.
Intanto Zubeidi, ex comandante dell’ala militare di Fatah a Jenin, è finito in ospedale dopo la cattura avvenuta venerdì notte nelle campagne di un villaggio arabo (palestinese). Per la polizia avrebbe «resistito all’arresto» costringendo gli agenti ad usare la forza per bloccarlo ed ammanettarlo. Una foto lo mostra con il volto tumefatto. La famiglia e un po’ tutti i palestinesi denunciano un duro pestaggio da parte dei poliziotti, una lezione subita per essere sfuggito negli ultimi venti anni a blitz dell’esercito a Jenin, a bombardamenti «mirati» e ora per aver messo a segno, assieme ai suoi compagni di fuga, un’evasione clamorosa, passando per un tunnel scavato sotto il bagno della cella, che ha gravemente imbarazzato le autorità carcerarie israeliane. «Mio fratello Zakaria è stato sottoposto alle forme più dure di tortura» protesta da due giorni Jibril Zubeidi «Lo torturano con l’elettricità, gli hanno rotto una gamba e gli impediscono di dormire». Ieri si sono appresi altri particolari dell’evasione. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso i fuggitivi, rimasti per alcuni minuti vicino all’uscita del tunnel all’esterno del carcere, ma le guardie in quei momenti stavano guardavano la tv.
L’Associazione dei prigionieri palestinesi accusa l’esercito israeliano di aver compiuto arresti indiscriminati a Qalqilya, Ramallah, Gerico, Gerusalemme e Betlemme, anche di parenti di Monadal Infiat e Iham Kamamji, i due evasi che restano in libertà. Sono stati portati via in manette Imad Kammaji, fratello di Iham, e suo cugino, Qais Kammaji I soldati hanno anche fatto irruzione nella casa di Monadal Infiat e hanno interrogato per ore la sua famiglia. A Nilin (Ramallah) è stato arrestato Muhammad Amira, attivista della resistenza popolare. Tre arresti anche a Gerusalemme Est. Pressione sulle famiglie e sui centri abitati della Cisgiordania, in particolare intorno a Jenin, che per ora non ha prodotto risultati. Kmaji e Infiat forse sono riusciti a rifugiarsi a Jenin, come con ogni probabilità avevano pensato di fare subito dopo essersi divisi dagli altri quattro fuggitivi. Zubeidi e gli altri tre invece hanno creduto di aver più possibilità rimanendo in territorio israeliano. Una scelta che si è rivelata errata.
* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto[1]
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