Global Forum: democratizzare il lavoro per una vera transizione ecologica
Il movimento. L’appello Democratizing Work, firmato da oltre 6.000 studiose e studiosi di tutto il mondo, ha lanciato su Il Manifesto il movimento Democratizzare il lavoro nel mondo postpandemico: diritti sociali, giustizia climatica, socializzare la produzione. Dal 5 ottobre un convegno organizzato dalla sezione italiana apre il laboratorio del confronto sulle proposte
Democratizzazione, de-mercificazione, de-carbonizzazione: sono le parole d’ordine del Manifesto #democratizingwork lanciato il 16 Maggio 2020 da studiose/i e attiviste/i internazionali per proporre un’uscita dalla pandemia attraverso un modello di sviluppo responsabile in grado di affrontare sia la crisi pandemia che le sue conseguenze. L’iniziativa, originariamente lanciata dalle accademiche Isabelle Ferreras, Dominique Méda e Julie Battilana giunge a un momento di discussione fondamentale che vivrà tra il 5 e il 7 Ottobre nel Global Forum #Democratizework un evento senza precedenti in cui prenderanno parola in più di 100 panel quasi 400 speaker provenienti da oltre 40 paesi nel mondo. Come comitato organizzativo italiano abbiamo deciso di fare la nostra parte all’interno di un movimento globale, provando a costruire in quelle giornate, con l’aiuto di accademici e accademiche, così come di attivisti e attiviste, una discussione in grado di calare sul contesto italiano le tre parole chiave dell’appello.
La pandemia, oltre ad aggravare in tutto il mondo le disuguaglianze già esistenti di classe, etnia e genere, ha messo in luce con inedita chiarezza la necessità di pensare a livello globale un’economia alternativa e più democratica, basata sui bisogni degli individui e della società, improntata alla cura piuttosto che al profitto, al rispetto del lavoro, delle comunità e dell’ambiente. Un progetto che è possibile raggiungere solo pensando alle interrelazioni tra la democratizzazione del lavoro, la demercificazione della società e la decarbonizzazione della produzione. Non più una semplice sommatoria, dunque, non più punti a sé stanti all’interno dell’ennesimo appello, ma pilastri di un’alternativa culturale, politica e economica in grado di funzionare solo se in grado di agire sinergicamente. Non ci può essere alcuna transizione ecologica senza una democratizzazione del lavoro, né si può pensare di avere le risorse necessarie a perseguire il risanamento ambientale senza mettere fine prima alle ondate continue di privatizzazione. L’interazione tra queste parole chiave è, dunque, per noi una base necessaria da cui partire per poter adeguare la società alle sfide sociali e ambientali che si configurano in maniera sempre più nitida all’orizzonte.
In questi mesi di emergenza sanitaria abbiamo visto chiaramente la fragilità delle società occidentali, la cui capacità di prendersi cura di sé stessa è messa irrimediabilmente in crisi dalle conseguenze di decenni di politiche votate alla supremazia del mercato e dei profitti. Da decenni, ormai, le catene globali del valore, unite alla tendenza alla finanziarizzazione delle imprese e dell’intera economia, estraggono sistematicamente risorse – ambientali e umane – senza che soggetti e territori coinvolti possano avere voce nelle decisioni che li riguardano. La politica democratica si è progressivamente svuotata di senso: riempita dalla finta lotta tra ciò che Nancy Fraser chiama i poli del “neoliberismo progressista” e del “populismo reazionario” ha finito per consegnare alla spoliticizzazione intere generazioni, intere aree del mondo, intere classi sociali, che si sentono sempre più impotenti. È successo, in breve, ciò che autori come Norberto Bobbio hanno sottolineato già da molti decenni: la democrazia politica se non diventa anche democrazia sociale non può perdurare.
Per questo, il Manifesto di #democratizingwork si dà come scopo quello di portare la democrazia dove oggi sembra difficile se non impossibile: nei luoghi di lavoro. Se vogliamo immaginare un modello di sviluppo differente, infatti, non possiamo che partire dall’idea che il lavoro non può più essere considerato una semplice risorsa economica. Il lavoro di infermieri, facchini, rider, operatori della logistica e delle cooperative sociali è stato ciò che nei drammatici mesi del lockdown ci ha consentito di prenderci cura di chi è stato colpito dal virus, così come di continuare a poter vivere le nostre vite. Eppure, oggi gli stessi sono nuovamente ricondotti nell’invisibilità perché considerati a “basso valore aggiunto”, marginali in un’economia che vuole riprendere al più presto con l’imperativo del profitto a tutti i costi. Una contraddizione che mostra come gli equilibri che avevano retto il rapporto tra capitale e lavoro nei trenta gloriosi, incardinati su una divisione sociale del lavoro impregnata da immaginari sviluppisti, non solo appaiono svuotati, ma sempre più insostenibili. Non basterà la nostalgia dei tempi andati a condurci fuori dalla pandemia, è giunto il tempo di mettere in atto una vera e propria rivoluzione culturale in grado di occuparsi, in una prospettiva solidale, non solo di come redistribuire la ricchezza ma anche di poter decidere democraticamente quale ricchezza produrre e come produrla.
Per poter democratizzare il lavoro, dunque, è necessario prima di tutto riconoscere che il profitto non è sinonimo di benessere. Al contrario, il sistema nel quale viviamo si basa tuttora sull’estrazione di valore da territori e persone senza che nel processo si generi una ricaduta positiva né per lavoratori e lavoratrici, veri protagonisti della produzione, né per le comunità locali, che vengono invece indebolite nella loro capacità di riprodursi. De-mercificare diventa allora la condizione necessaria per dare valore al lavoro di cura, alle iniziative di solidarietà, al ruolo delle artiste e degli artisti, a quelle iniziative di mutualismo che, particolarmente nei primi mesi di lockdown, abbiamo visto moltiplicarsi nelle nostre città. Il vero dramma della mercificazione totale della società che vediamo farsi sempre più spazio tra le ricette dei piani di ripresa approvati dai governi di tutto l’occidente è che non solo ci sta spingendo ogni giorno di più verso la catastrofe ambientale e sociale, ma sta anche impedendo di dotarci degli strumenti necessari per affrontarla.
Così, mentre dalla crisi economica generata dalla pandemia, che sia con ricette regressive o progressiste, è possibile uscirne, la crisi ambientale si fa ogni giorno più difficile da affrontare. Benché il tema della sostenibilità ambientale sia diventato ormai mainstream al punto da meritare attenzione e proclami da parte di governi e aziende, spesso con intenti di greenwashing, senza una reale partecipazione alle decisioni produttive delle comunità locali e della forza lavoro, la “transizione ecologica” rischia di diventare l’ennesima cornice entro il quale il capitalismo si riorganizza per superare la sua crisi. Non possiamo pensare che le imprese private possano essere le protagoniste solitarie di una riconversione ecologica, né che esse garantiscano un’occupazione sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. Così, se da un lato non possiamo immaginare una ripresa economica senza che questa si possa dare in una chiave di transizione ecologica, dall’altro essa non può che partire da una ritrovata dignità del lavoro e da una trasformazione radicale che metta al centro la partecipazione individuale e collettiva alla produzione di benessere condiviso.
La pandemia può essere l’occasione di un cambiamento radicale, certo. Ma si deve superare il determinismo del “nulla sarà come prima” o del “ne usciremo migliori”. L’esito dipende dagli attori che giocano la partita, dalla forza che saranno in grado di esercitare, dalle dinamiche del conflitto già in essere per quanto a volte non immediatamente percepibili: non ci sono solo le lotte per il lavoro e nei posti di lavoro, per difendere o conquistare diritti sociali e politici, le campagne di difesa dell’ambiente, ma anche le ristrutturazioni aziendali, i licenziamenti, i tagli del welfare, la deregolazione del mercato del lavoro, il greenwashing, i piani di investimento e “di resilienza” decisi dalle élite, i “patti per il lavoro” attenti alla moderazione salariale più che alle esigenze di una classe lavoratrice sempre più impoverita. Nonostante siano spesso seppelliti da editoriali fiume e da ore di approfondimento televisivo sul nulla, viviamo una società segnata profondamente dai conflitti. Sappiamo che il capitalismo ha le capacità di mutare e di riprodursi, ma il modo in cui proverà a farlo, il risultato a cui si arriverà non è scontato. Gli effetti che produrrà sulle società locali e sugli equilibri mondiali dipendono soprattutto dalla capacità di elaborare idee alternative e di organizzarsi nei conflitti che continueranno a prodursi sui confini tra lavoro e ambiente, tra economia e politica, tra natura e società.
Per questo, come comitato organizzativo italiano del Global Forum pensiamo che tali obiettivi possano essere raggiunti soltanto attraverso un movimento culturale e politico in grado, allo stesso tempo, di pensare globale e di agire a livello locale. Abbiamo deciso di dar vita all’interno di questa cornice a una discussione che possa declinare in chiave nazionale la democratizzazione del lavoro, la de-mercificazione della società e la decarbonizzazione della produzione perché siamo convinti che per superare le secche del dibattito italiano sia necessario avviare una riflessione ampia e profonda in grado di sottrarsi da un’afasia che sembra pervadere la politica. Si tratta, dunque, di fare la nostra parte all’interno di un movimento globale perché questo ci sembra essere l’unico modo per riappropriarci della politica a casa nostra. È solo così che pensiamo sia possibile dar vita a un’alternativa politica, sociale culturale all’altezza delle sfide del nostro tempo.
Invitiamo dunque tutti coloro che condividono l’esigenza di un movimento globale a partecipare alle giornate del Global Forum e, in particolare, ai panel che abbiamo costruito a partire dalle esigenze dei nostri territori oltre che all’Assemblea pubblica di #democratizingwork Italia del 7 Ottobre alle ore 20:00 in cui ci ritroveremo come rete italiana per discutere come proseguire collettivamente questo percorso.
***Ricordiamo inoltre che per partecipare è necessario iscriversi a questo link e che potete trovare il programma con tutti i panel qui.
***Qui il programma degli incontri italiani:
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Con: Paolo Venturi (Aiccon, Università di Bologna), Carmelo Rollo (Legacoop Puglia), Maria Ramella (Brigì community cooperative)
Modera: Francesca Martinelli (Fondazione Centro Studi Doc)
Supporto tecnico: Chiara Faini (Fondazione Innovazione Urbana)
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Con: Rosa Fioravante (Università di Urbino), Antonio Caselli (Greslab), Luca Federici (Rimaflow)
Moderazione: Francesco Gentilini (Rete Italiana Imprese Recuperate)
Supporto tecnico: Guido Cavalca (Università di Salerno)
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Con: Bertram Niessen (direttore scientifico di Chefare) Tommaso Sacchi (Assessore alla Cultura del Comune di Firenze), Piersandra Di Matteo (drammaturga e direttrice artistica di Short Theatre)
Modera: Chiara Faini (Fondazione Innovazione Urbana)
Supporto tecnico: Francesca Martinelli (Fondazione Centro Studi Doc)
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Con Roberto Ciccarelli (giornalista de il Manifesto e saggista), Cristina Morini (ricercatrice indipendente e saggista), Angelo Junior Avelli (Deliverance Milano)
Modera: Paolo Borghi (Università di Milano)
Supporto tecnico: Francesca Martinelli (Fondazione Centro Studi Doc)
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Con: Vando Borghi (Università di Bologna), Lisa Dorigatti (Università di Milano)
Francesco Massimo (Sciences-Po Paris)
Moderazione e supporto tecnico: Marco Marrone (Cà Foscari Università di Venezia)
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Con: Sabrina Marchetti ((Cà Foscari Università di Venezia) Alberto Campailla (Nonna Roma) e Marie Moïse (Università di Padoca)
Moderazione e supporto tecnico: Paolo Borghi (Università di Milano)
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Con Stefania Barca (Universidade de Santiago de Compostela), Andrea Ghelfi (University of Nottingham), Luigi Pellizzoni (Università di Pisa)
Modera: Emanuele Leonardi (Università di Bologna)
Supporto tecnico: Maura Benegiamo (Università di Pisa)
– . Assemblea pubblica di #democratizingwork Italia ( )
*Il comitato scientifico del Global Forum on Democratizing Work che ha organizzato il ciclo di conferenze italiane è composto dai ricercatori e attivisti: Paolo Borghi (Università di Milano), Guido Cavalca (Università di Salerno), Chiara Faini (Fondazione per l’Innovazione Urbana), Rosa Fioravante (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo), Marco Marrone (Università Ca’ Foscari) e Francesca Martinelli (Fondazione Centro Studi Doc).
* Fonte: Comitato Scientifico #Democratizingwork Italia, il manifesto
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