Giustizia climatica, gli attivisti in piazza da Roma a Melbourne a New York
Ambiente. «Cambiare il sistema, non il clima». Due anni di pandemia non hanno intaccato la forza del movimento. Molte le critiche rivolte a Cingolani, definito dai manifestanti «ministro della finzione ecologica». Draghi all’Onu: «Ascoltare chi chiede il cambiamento»
Milano, Roma, Genova, Venezia, Bolzano, Bari, ma anche Londra, New York, Melbourne, Città del Capo, Nuova Delhi, a grande scala o piccola scala, venerdi 24 settembre 2021 ha visto nelle piazze di ogni città fiumi colorati di giovani in marcia a scuotere il tavolo dove i grandi della terra discutono e decidono come se di tempo ce ne fosse a sufficienza.
UN APPUNTAMENTO e un successo planetario il ritorno in piazza dei Fridays For Future: due anni di pandemia non ne hanno intaccato l’energia, la creatività, la determinazione, l’entusiasmo: gli slogan quelli di sempre «Non abbiamo un pianeta B», «Cambiare il sistema, non il clima» ma anche dei nuovi «Fate pagare la crisi ai ricchi», «Giustizia climatica e giustizia sociale» a indicare quel salto di consapevolezza che hanno fatto in questi tanti mesi che li hanno tolti dalle piazze e li hanno costretti alle scrivanie: un tempo durante il quale non hanno evidentemente smesso di comunicare, confrontarsi e osservare un mondo che non divide in parti uguali responsabilità e conseguenze della crisi climatica.
LA PAGINA WEB del movimento riporta i numeri di questo appuntamento: 97 paesi, 1155 città, incontabili i partecipanti totali, e che abbiano superato o no il mezzo milione previsto, poco importa.
Nella sola Germania che si appresta al voto federale in due giorni i manifestanti sono stati centinaia di migliaia, e nella capitale Berlino è arrivata anche Greta Thumberg, secondo la quale nessun partito ha fatto veramente qualcosa per il clima.
A LONDRA A DARE MANFORTE ai giovanissimi manifestanti che si sono radunati in piazza del parlamento e hanno marciato verso la cattedrale di Westminster c’era anche il leader radicale Jeremy Corbyn che ha affibbiato alla 26 esima Conferenza delle parti sul Clima che si terrà nel Regno Unito, la definizione di “Festival del Greenwashing”. A Glasgow, la città scozzese sede del vertice, i manifestanti si sono diretti sotto il Parlamento.
PIENE DI STUDENTI LE PIAZZE e le strade di molte altre capitali europee quali Vienna, Praga, Varsavia, dove i giovani manifestanti si sono gettati a terra a simulare la fine del pianeta.
«Siamo qui perché stiamo dicendo un forte ‘no’ a ciò che sta accadendo in Polonia, il regno del carbone», ha detto l’attivista di 19 anni Dominika Lasota, «Il nostro governo ha bloccato per anni qualsiasi tipo di politica climatica e ignora le nostre richieste per un futuro sicuro». Nel continente Africano le manifestazioni più corpose si sono svolte in Uganda dove l’attivista Hilda Flavia Nakabuye, dopo aver capito che la crisi climatica era responsabile delle alluvioni che hanno costretto la sua famiglia ad abbandonare la propria terra, ha fondato Fridays for Future Uganda nel 2019, che nel giro di pochi anni è diventato il più grande movimento giovanile dell’Africa. In Sudafrica si sono svolte manifestazioni in 12 città nell’ambito di uno sciopero di tre giorni per chiedere al governo di supervisionare una giusta transizione dai combustibili fossili.
NELL’AMERICA DEL NORD sconvolta da uragani e incendi si sono svolti quasi 200 eventi, 168 solo negli USA e le proteste più grandi si sono viste a New York City and Los Angeles; in Canada, in particolare in Quebec, più di 100 mila studenti hanno puntato il dito contro un’azione politica non altezza della crisi. In Messico, i manifestanti si sono radunati davanti al Palazzo Nazionale di Città del Messico per chiedere alla compagnia petrolifera statale Pemex di presentare un piano per la decarbonizzazione.
Grandi manifestazioni anche in Brasile e Argentina. In Bangladesh gli attivisti hanno chiesto la demolizione delle nuove centrali elettriche a carbone e gas, mentre in Pakistan Yusuf Baluch, 17 anni, un giovane attivista nella provincia del Belucistan, ha affermato che il ritorno agli eventi di persona è fondamentale per costringere i leader ad affrontare la crisi planetaria.
A PROPOSITO DI CLASSE POLITICA, nelle tantissime e partecipate manifestazioni che si sono svolte in Italia e che hanno visto partecipare migliaia di studenti, il ministro per la Transizione Ecologica Cingolani è stato frequentemente bersaglio di slogan e dichiarazioni.
A Milano, città fulcro delle mobilitazioni dovendo ospitare a breve la pre-COP 26, è stato definito «Ministro della finzione ecologica» per i pochi fatti messi in fila e le tante parole anche sgradite, come quelle sui radical chic del clima e sul nucleare.
Non si fanno buttare fumo negli occhi i Fridays italiani, anche se recentemente il ministro sembra essere stato riportato a più miti consigli dal premier Draghi che, almeno a parole, non perde occasione per rimarcare la gravità della crisi climatica e l’urgenza di un’azione radicale.
L’ultimo intervento ieri all’Assemblea generale dell’Onu, è stato un vero assist nei confronti dei giovani attivisti per il clima, «portatori di cambiamento che è un dovere ascoltare»: il premier ha dichiarato che «in qualità di Presidenza del G20 e partner del Regno Unito nella Cop 26», l’Italia intende raggiungere obiettivi ambiziosi, riducendo il più possibile, nel prossimo decennio, la CO2 prodotta da combustibili fossili e gli altri gas clima-alteranti, incluso il metano e di voler raggiungere un’intesa globale per interrompere al più presto l’uso del carbone e bloccare il finanziamento di progetti di questo tipo. E’ proprio il caso di dire «bentornati Fridays».
* Fonte: Serena Tarabini, il manifesto
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