Catturati gli ultimi due evasi palestinesi, ma la «Grande fuga» diventa un mito
Israele/Territori occupati. La cattura domenica di Iham Kamamji e Munadil Enfayat non ha scalfito il mito dell’impresa compiuta dai prigionieri politici in carcere in Israele. Ma c’è anche delusione per la facilità con cui le forze israeliane hanno catturato i fuggitivi
GERUSALEMME. Per tanti palestinesi non è facile digerire la cattura di Iham Kamamji e Munadil Enfayat, avvenuta domenica a Jenin poco prima dell’alba, dopo una caccia all’uomo durata 13 giorni. Era diffusa la speranza, non solo nei Territori occupati, che i due, a differenza degli altri quattro evasi dal carcere di Gilboa ripresi quasi subito, fossero nelle condizioni di sottrarsi a polizia ed esercito di Israele, proprio perché nascosti nella loro città, Jenin, ben nota roccaforte della resistenza armata palestinese. Ad ogni modo i sei protagonisti della «Grande Fuga» restano un mito e la loro cattura non offusca agli occhi dei palestinesi l’impresa della fuga, scavando un tunnel come nei film, da una prigione israeliana di massima sicurezza. Peraltro, la questione dei prigionieri politici resta centrale per la società palestinese che già segue con partecipazione i 62 giorni di sciopero della fame in carcere di Meqdad Qawasmeh che protesta contro la «detenzione amministrativa», senza processo. Altri cinque prigionieri politici attuano il digiuno: Kayed Fasfus, Alaa al Araj, Hisham Abu Hawash, Rayeq Bisharat e Shadi Abu Aker.
Non mancano gli interrogativi. Gli abitanti di Jenin si attendevano un raid militare di Israele, con centinaia di uomini e con mezzi corazzati, per stanare Kamamji ed Enfayat. Poliziotti e soldati invece hanno circondato il nascondiglio dei due che si sono arresi senza resistere alla cattura. «I due terroristi sono usciti senza aprire il fuoco. L’arresto è stato condotto senza intoppi», ha commentato visibilmente soddisfatto Alon Hanoni, l’ufficiale responsabile per l’esercito israeliano dell’area di Jenin. Dove erano domenica, si domandano molti, i militanti delle organizzazioni armate, a cominciare dal Jihad islami a cui appartenevano i due fuggitivi, che appena qualche giorno fa avevano annunciato la difesa all’ultimo sangue degli «eroi di Gilboa»?
Israele sostiene di aver attirato i palestinesi armati inviando truppe in un’altra zona di Jenin e di aver impiegato un piccolo commando quando Kamamji ed Enfayat sono rimasti soli, senza protezione. Scontri con le forze israeliane sono avvenuti solo dopo il diffondersi della notizia della cattura e hanno visto in strada soprattutto civili e pochi militanti armati. Altri ancora si domandano quanto sia ampia la rete di collaborazionisti a Jenin e in Cisgiordania visto che il rifugio dei due evasi è stato individuato subito dall’intelligence israeliana. E non pochi puntano il dito verso l’Autorità nazionale palestinese, legata ad accordi di sicurezza con Israele, che però sin dal giorno della fuga da Gilboa ha escluso categoricamente di poter cooperare con Israele nella cattura degli evasi.
Ben diverso è lo stato d’animo degli israeliani che ritengono di aver rapidamente ricucito la lacerazione causata all’orgoglio nazionale dall’evasione del 6 settembre. Il premier Bennett ha parlato in un’operazione «impressionante, sofisticata e rapida da parte dell’agenzia di intelligence, della polizia e dell’esercito».
* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto
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