Salario minimo, uno studio certifica: la misura tedesca funziona
Germania. Lo studio certifica gli effetti pratici della legge nazionale introdotta nel 2015: «Il numero di posti di lavoro pagati meno di 8,5 euro all’ora è diminuito subito dopo l’introduzione della norma e il trend è coinciso con l’aumento degli impieghi maggiormente retribuiti»
Secondo le autorevoli analisi degli economisti business-oriented la misura avrebbe dovuto produrre ben 900.000 nuovi disoccupati. Invece non solo ha salvato i posti di lavoro ma ha anche consentito di aumentare le buste paga e perfino di ammodernare gli stabilimenti produttivi. Lo studio Reallocation effects of the Minimum Wage pubblicato dalla Oxford University Press per conto del Dipartimento di Economia dell’Università di Harvard certifica gli effetti pratici della legge sul salario minimo nazionale introdotta in Germania nel 2015.
Giungendo alla conclusione che «la misura ha permesso la riallocazione dei lavoratori a basso salario dalla fascia di stipendio minimo al livello superiore e dalle realtà meno produttive alle più competitive. Questa riqualificazione ha rappresentato fino al 17% dell’aumento salariale».
In 68 pagine i ricercatori Christian Dustmann, Attila Lindner, Uta Schönberg, Matthias Umkehrer e Philipp vom Berge squadernano il provvedimento partendo dalla sua genesi. «Mentre fino a metà degli anni Novanta gli stipendi negoziati fra sindacati e federazioni imprenditoriali variavano in base alle competenze e all’esperienza dei lavoratori, dal 1995 al 2010 la Germania ha sperimentato un drammatico aumento della diseguaglianza sociale. In questo contesto nel luglio 2014 il governo ha approvato il salario minimo di 8,5 euro all’ora rendendolo obbligatorio il gennaio seguente, quindi lo ha aumentato a 8,84 euro nel 2017 e infine a 9,19 euro nel 2019».
I principali beneficiari sono stati soprattutto «residenti nell’Est della Germania di origine immigrata, in prevalenza donne, con scarse qualifiche professionali, di età inferiore a 24 anni, spesso disoccupati da oltre un anno» mentre gli ambiti di lavoro hanno riguardato in primis i settori dei trasporti, alberghiero, delle pulizie e della logistica alimentare.
Il primo clamoroso effetto è stata la messa “fuori mercato” degli impieghi pagati una pipa di tabacco: «Il numero di posti di lavoro pagati meno di 8,5 euro all’ora è diminuito subito dopo l’introduzione del salario minimo e il trend è coinciso con l’aumento degli impieghi maggiormente retribuiti. Questi dati forniscono perciò la prova che le perdite occupazionali dovute al salario minimo sono state limitate. Non solo la misura ha aumentato gli stipendi senza ridurre l’occupazione ma nelle aree interessate ha innalzato anche la qualità media degli stabilimenti».
Per questo motivo secondo i ricercatori «la popolarità del salario minimo sta crescendo al punto che molti stati americani hanno approvato leggi che prevedono aumenti fino a 15 dollari all’ora mentre diversi Paesi europei stanno pianificando il suo incremento sostanziale».
Anche perché il presunto impatto negativo del salario minimo sui parametri macroeconomici paventato dagli economisti liberal viene smentito proprio dall’esempio tedesco. il Pil della Germania è cresciuto del 20% dal periodo precedente al salario minimo (2011) a dopo la sua adozione (2016) con lo stock di occupati passato da 41,5 a 43,6 milioni e l’indice di disoccupazione ridotto dal 7,1 al 6,1%.
L’unico problema, semmai, è che «la riallocazione dei lavoratori a basso salario verso stabilimenti più remunerativi è avvenuta a spese dell’aumento del pendolarismo che potrebbe avere costretto alcune persone a peggiorare la condizione di vita nonostante il guadagno più alto. Tuttavia i nostri risultati empirici suggeriscono che in media il benessere dei lavoratori è migliorato dopo l’introduzione del salario minimo» è la conclusione dello studio scientifico.
* Fonte: Sebastiano Canetta, il manifesto
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