Lettere dal carcere della morte: “nessuno dica che non sapeva”

Lettere dal carcere della morte: “nessuno dica che non sapeva”

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Dopo quella pubblicata il 13 luglio scorso, pubblichiamo una nuova lettera  di Ciro Risi, ex recluso nel carcere di Modena, che precisa e spiega l’errata identificazione del suo compagno morto durante la traduzione, di cui in effetti in quel momento non conosceva il nome. Il nome da lui riferito era comprensibilmente sbagliato, ma i fatti sono stati quelli. Fatti che chiamano in causa plurime responsabilità di chi ha deciso e di chi ha autorizzato – e di chi ha omesso controlli medici – la traduzione di detenuti che non erano in condizioni di esserlo e che in alcuni casi sono morti durante in viaggio o all’arrivo nei nuovi carceri. Come di chi non ha soccorso i detenuti in overdose rimasti a Modena. Come di chi ha infierito con pestaggi e violenze contro i reclusi inoffensivi non durante, ma dopo la rivolta.

Morti del tutto evitabili  per le quali la magistratura di Modena ha voluto archiviare le responsabilità. E sulle quali, invece, come Comitato per la verità e la giustizia sulle morti in carcere continuiamo la nostra battaglia e l’impegno. Anche promuovendo una raccolta di fondi per sostenere le spese legali per il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. È  un passo importante, perché non sia l’archiviazione l’ultima, scandalosa parola su questa e queste  morti.

***

Mi chiamo Ciro Risi, ero detenuto nel carcere di Modena nel momento della rivolta, sono stato il testimone per il garante nazionale dei detenuti che si era opposto all’archiviazione e ho  risposto alle domande dell’intervista che avete pubblicato.

Sono stato zitto per diverso tempo perché non avevo nessuna fiducia che le mie parole avrebbero avuto un seguito e soprattutto che sarebbero state credute.

Il fatto che sia stato immediatamente notato che avevo sbagliato il nome del detenuto deceduto aveva reso meno credibile quanto raccontavo.

Io non conoscevo il nome del  detenuto che viaggiava accanto a me durante il trasferimento, mi sembrava di averlo riconosciuto da una foto pubblicata sui giornali. Avrei dovuto spiegare che non ci frequentavamo in carcere, avrei dovuto semplicemente dire che un extracomunitario era stato male per ore di fianco a me, che, nonostante le mie ripetute richieste, nessuno aveva  voluto intervenire in tempo e che, infine, quando è stato trasportato a braccia   verso l’ambulanza che lo attendeva di fronte al carcere di Alessandria non dava segni di vita tanto che gli agenti hanno affermato che era deceduto.

Dopo tanti articoli sui giornali, dopo l’intervento della Ministra Cartabia con un discorso che raramente si sente pronunciare da parte di una autorità, non posso più tacere.

Se è normale che le ormai numerose testimonianze di pestaggi a Modena vengano annullate dal fatto che non ci siano testimonianze documentate come a Santa Maria Capua a Vetere, vi fa capire che quello che dice un ex detenuto non vale niente di fronte alle affermazioni che tutto si è svolto con correttezza come affermano la Direzione e il Comandante .

Il fatto che siamo stati trasferiti senza essere stati controllati da un medico non vale niente di fronte alle affermazioni che non c’era tempo e modo data la situazione di concitazione. Io sono stato ore ad aspettare in una stanza e di medici ce n’erano in abbondanza come si vede dai filmati.

Il fatto che siamo stati molte ore in viaggio ( il mio è durato 10 ore), in manette, in una gabbia e, per quello che mi riguarda, senza mangiare per 20 ore e bevendo solo nei bagni quando riuscivamo a fermarci, è evidentemente un normale metodo per trasportare e trattare i detenuti.

Non so se queste mie parole cambieranno qualcosa, forse solo per me dato che ho voluto rendere pubblico il mio nome, certo non si potrà dire che nessuno sapeva.

 



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