Il macabro umorismo di Boris Johnson sull’Afghanistan
Gli umanitari. In vent’anni sono morti in questo modo 71.000 civili innocenti, venti volte il numero di americani vittime degli attacchi dell’11 settembre 2001
Se ci fosse un premio per l’umorismo politico macabro, questa settimana andrebbe al primo ministro inglese Boris Johnson che domenica ha fatto sapere via Twitter di aver convocato per oggi un G-7 sull’Afghanistan. Un G7 con lo scopo di “assicurare evacuazioni sicure, prevenire una crisi umanitaria e sostenere il popolo afgano per garantire i progressi degli ultimi 20 anni”. Progressi, davvero: circa 4.000 morti per la Nato (fra cui 53 italiani) e 240.000 tra gli afgani.
Oggi i media americani e quelli europei si concentrano sulla situazione all’aereoporto di Kabul: quanti racconti commoventi abbiamo sentito su tutto il bene che gli alleati stavano facendo, specialmente per le donne e le ragazze, che ora torneranno a essere chiuse in casa dai talebani? Peccato che la giusta preoccupazione per la violazione dei diritti umani da parte di questi ultimi non fosse altrettanto visibile quando i bombardamenti americani colpivano donne e bambini nel corso di matrimoni, o feste di villaggio, scambiando assembramenti pacifici per raduni di guerriglieri. In vent’anni sono morti in questo modo 71.000 civili innocenti, venti volte il numero di americani vittime degli attacchi dell’11 settembre 2001.
Domenica, in un discorso piatto e pieno di cifre, il presidente Biden ha detto che la sua amministrazione potrebbe rinviare la scadenza del 31 agosto per la fine della presenza di truppe americane a Kabul e ha promesso che tutti gli alleati afgani evacuati avrebbero avuto la possibilità di andare negli Stati Uniti, o in altri paesi, dopo essere stati controllati nelle basi militari nel Golfo, in Spagna e in Germania dove sono stati portati negli ultimi giorni. “Daremo il benvenuto a questi afghani che ci hanno aiutato nello sforzo bellico negli ultimi 20 anni” ha detto Biden.
Tra questi ci sono senza dubbio migliaia di afgani che lavoravano come interpreti, guide o autisti per mantenere le proprie famiglie ma ci sarà anche la cleptocrazia afgana al completo: “Il governo di Kabul non era un governo, ma un’organizzazione criminale integrata verticalmente, la cui attività principale non era di fatto l’esercizio delle funzioni statali, ma piuttosto l’accaparramento di risorse per guadagno personale” ha scritto la collaboratrice del Carnegie Endowment for International Peace, Sarah Chayes sul suo blog. Secondo la Chayes, l’ultimo speaker del parlamento afgano, Rahman Rahmani, per esempio, è multimilionario, grazie a contratti monopolistici per fornire carburante e sicurezza alle forze statunitensi nella loro base più importante, Bagram, evacuata qualche settimana fa. Un caso che era la regola, non l’eccezione: del resto come sarebbero stati spesi 2.000 miliardi di dollari se non in sprechi e corruzione?
Agli americani e agli europei piace pensare che l’invasione del 2001 sia stato un valoroso tentativo di portare la democrazia in Afghanistan: peccato che gli afgani non fossero pronti o non si preoccupassero abbastanza della democrazia per volerla difendere dai talebani. La realtà è diversa: per gli Stati Uniti, dal punto di vista della sicurezza nazionale, una volta che Bin Laden era morto, non esisteva più una ragione strategica per rimanere nel paese, come hanno riconosciuto prima Trump firmando gli accordi di Doha e poi Biden nel suo discorso di qualche giorno fa. Il resto era propaganda.
Se “l’esercito afgano” si è dissolto nel giro di qualche giorno è perché non esisteva, faceva parte di quell’elaborata frode internazionale su vasta scala chiamata “governo afgano”. Un modello di business che i leader locali, a cominciare dall’immarcescibile Hamid Karzai, che sembra tornare in gioco in queste ore, avevano sviluppato con maestria e che non aveva nulla a che fare con il governo di un paese, men che meno con il suo sviluppo o la difesa dei diritti umani. Era notevolmente efficace solo nel raggiungere il suo obiettivo: arricchire la cricca al potere. Checché ne dica oggi Boris Johnson.
* Fonte: Fabrizio Tonello, il manifesto
ph by Masoud Akbari, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons
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