Estrattivismo e genocidio. Rinviata a settembre la decisione sul «Marco temporal»

Estrattivismo e genocidio. Rinviata a settembre la decisione sul «Marco temporal»

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Brasile. I lavori del Supremo Tribunale Federale sono stati interrotti subito dopo la lettura della relazione iniziale da parte del ministro Edson Fachin. Grande delusione per i seimila attivisti indigeni ritrovatisi a Brasilia per rivendicare i diritti sulla terra e contestare Bolsonaro

Il Supremo Tribunale Federale prende tempo. La decisione sul ‘marco temporal’, che introduce limiti temporali alla demarcazione delle terre indigene in Brasile, è stata sospesa dopo la lettura della relazione iniziale da parte del ministro Edson Fachin e rinviata al primo settembre. Il relatore nel suo intervento ha riconosciuto il «carattere originario» dei diritti degli indios. Ora saranno gli altri componenti a doversi pronunciare.

NELL’ACCAMPAMENTO “Luta pela Vida” di Brasilia, dove in questi giorni si sono ritrovati seimila indigeni in rappresentanza di 176 popoli di tutte le regioni del paese per quella che è considerata la più vasta mobilitazione indigena degli ultimi 30 anni, il disappunto è grande. La sentenza era attesa per il 25 agosto e L’Apib (Articolazione dei popoli indigeni del Brasile) aveva fissato un programma di iniziative dal 22 al 28 agosto. Il presidio ha animato in questi giorni la sconfinata Spianata dei ministeri e le notti di Brasilia sono state illuminate da 380 luci che formavano il messaggio «Brasil terra indigena».

Nella Piazza dei tre poteri sono state depositate 1300 strisce che riportano i nomi di tutte le 1300 terre indigene del paese, per rivendicare la continuità delle demarcazioni paralizzate da Bolsonaro. Sono 300 i territori che si trovano in una fase di paralisi del processo di demarcazione. Le iniziative avevano lo scopo di respingere la tesi secondo cui possono essere demarcati solo i territori che gli indigeni occupavano il 5 ottobre del 1988, data della promulgazione della Costituzione. «La nostra storia non inizia nel 1988», è scritto a caratteri cubitali all’ingresso dell’Accampamento, in risposta a quanto previsto dal ‘marco temporal’.

LA MOBILITAZIONE aveva anche l’obiettivo dichiarato di sostenere la Suprema Corte nel momento in cui sta subendo i feroci attacchi di Bolsonaro. La politica anti-indigena del governo ha raggiunto livelli intollerabili e il grido «Bolsonaro genocida» è risuonato più volte nel centro della capitale federale, in riferimento alla denuncia di genocidio che l’Apib ha presentato il 9 agosto al Tribunale penale internazionale dell’Aia. Ora il presidio dovrebbe smobilitare entro sabato. Non è possibile prolungare la presenza a causa delle difficoltà organizzative che comporta una iniziativa di queste dimensioni. Si stanno studiando forme alternative di mobilitazione per tenere alta l’attenzione della società civile brasiliana. L’appoggio internazionale che l’iniziativa indigena ha ricevuto è stato più volte sottolineato da Sonia Guajajara, coordinatrice dell’Apib: associazioni dei diritti umani, organizzazioni politiche, ambientalisti hanno lanciato appelli per la difesa delle comunità indigene e dei territori amazzonici.

Ora il Stf deve scegliere tra due tesi in contrapposizione. Da una parte c’è una tradizione legislativa, sancita dalla Costituzione del 1988, che riconosce il diritto dei popoli indigeni sulle loro terre come un diritto originario, anteriore alla formazione dello Stato brasiliano. Dall’altra parte il ‘marco temporal’ che cerca di limitare i loro diritti. In questi anni sono state molte le pressioni sulla Suprema Corte da parte dei gruppi di potere che hanno interesse a mettere le mani sui territori. In vista della sentenza sono 80 le entità e organizzazioni di vario tipo che hanno sollecitato di essere ascoltate per fare osservazioni e fornire elementi di giudizio. Anche le organizzazioni indigene avranno il diritto esprimere le loro rivendicazioni. Per ora una cosa è certa: tra gli 11 membri del Stf è prevalsa la volontà di non avere la presenza indigena al momento della decisione.

* Fonte: Francesco Bilotta, il manifesto

 



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