Afghanistan. La Cia scende a patti con i taliban e incontra il mullah Baradar

Afghanistan. La Cia scende a patti con i taliban e incontra il mullah Baradar

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Le grandi impotenze. Incontro “segreto” tra Burns e Baradar, mentre i Talebani annunciano lo stop all’esodo degli afghani: «Solo gli stranieri possono partire, abbiamo bisogno di dottori, ingegneri e di tutte le persone istruite. Le donne? Meglio per ora che stiano a casa». Seconda conferenza stampa dalla presa di Kabul, con la promessa che oggi riapriranno anche le banche

Gli stranieri sono liberi di andarsene, ma devono farlo entro il 31 agosto. Nessuna deroga. Quanto agli afghani, il fatto che lascino il Paese non ci piace. Non gli permetteremo più di raggiungere l’aeroporto.

Così ieri il portavoce dei Talebani, Zabihullah Mujahid, nel corso della seconda conferenza stampa dalla presa del potere. Durante la quale non ha negato – dunque confermandolo – un incontro storico. Quello tra direttore della Cia William Burns e mullah Abdul Ghani Baradar, il capo dell’Ufficio politico dei Talebani e numero due del movimento. Tenuto segreto ma rivelato dal Washington Post, l’incontro segna la fine e conclama il fallimento della guerra americana in Afghanistan, perfino più del ritiro degli ultimi soldati, nei prossimi giorni.

LA CIA, che per anni è andata a caccia di Talebani con operazioni paramilitari che spesso hanno provocato vittime civili, e che nel 2010 ha aiutato i servizi segreti del Pakistan a catturare mullah Baradar che per Islamabad era troppo in anticipo sul negoziato, oggi deve chiederne la benevolenza per poter strappare qualche concessione in più per l’evacuazione. Che è ancora in corso, ma per pochi giorni, insiste Zabihullah Mujahid.

Fino al 31 agosto c’è tempo a sufficienza per fare tutto, sostiene il portavoce. Dopo, la sicurezza dell’aeroporto passerà nelle mani dei turbanti neri. I quali non accettano neanche i soldati turchi, malgrado quelli che definisce buoni rapporti con Ankara.

MUJAHID HA ANCHE DETTO che i Talebani non permetteranno più agli afghani di lasciare il Paese. «La strada di accesso all’aeroporto verrà controllata. Sarà aperta per gli stranieri, chiusa per gli afghani, ai quali verrà detto di tornare nelle loro case». Il caos all’aeroporto, ha dichiarato ieri un altro “numero due” del movimento, mullah Yacub, è colpa di Washington, mentre gli Stati Uniti, ha aggiunto Mujahid, dovrebbero evitare di spingere le persone istruite a lasciare il Paese: «Abbiamo bisogno di dottori, ingegneri, di tutti quelli che sono istruiti», ha ammesso il portavoce dei Talebani. Che torna anche sulla questione dell’amnistia. Serve a convincere e cooptare tutti quei tecnici e quadri intermedi di cui ha bisogno il nuovo governo a guida talebana. E a mandare un messaggio rassicurante, ribadito ieri.

LE RAPPRESAGLIE? La caccia all’uomo di cui si parla su tutti i media stranieri? «Non c’è alcuna lista. Non stiamo perseguitando nessuno. Ci siamo dimenticati tutto il passato. Stiamo cercando di portare la pace».
Eppure proprio ieri, nel corso di una sessione speciale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite Michelle Bachelet, l’Alta commissaria dell’Onu per i Diritti umani, ha detto che le Nazioni unite hanno raccolto testimonianze credibili di «esecuzioni sommarie» e restrizioni significative per le donne nelle aree sotto il controllo dei Talebani, pur senza specificare l’arco temporale di riferimento.

PER I TALEBANI, infatti, sono spiacevoli incidenti del passato: prima della conquista del potere. Mentre per Chen Xu, ambasciatore cinese all’Onu, bisognerebbe chiamare i soldati statunitensi, australiani, britannici a dare conto delle presunte violazioni compiute in Afghanistan. Il suo intervento, che ha preceduto di poco l’incontro a Kabul tra l’ambasciatore cinese Wang Yu e alcuni pezzi da novanta della leadership talebana, ci ricordano che nel corso del lungo conflitto afghano tutti gli attori hanno condotto abusi gravissimi. Ma dimostra anche le divisioni dell’Onu. Che ha adottato una risoluzione debole, favorita dal Pakistan, senza riuscire a trovare il consenso su nuovi meccanismi di monitoraggio.

PER AGNÈS CALLAMARD, segretaria generale di Amnesty International, si tratta di un «fallimento vergognoso».
I Talebani, intanto, si mostrano concilianti. Le donne? Per ora è meglio che stiano a casa, ha dichiarato Mujahid. È per la loro sicurezza. Ma si tratta di una soluzione temporanea. Una volta predisposte le misure giuste, una volta che la sicurezza sarà del tutto stabilita, potranno tornare al lavoro, anche nelle istituzioni. Intanto «continuano a ricevere il salario».

DOPO LA DIFESA, la rivendicazione: il lavoro del nuovo governo, anche se non ancora formalmente annunciato, è già iniziato. Sono attivi il ministero della Salute e quello dell’Istruzione. Mentre sui profili social del Comune di Kabul si mostrano i lavori per smantellare l’elemento più caratteristico di questi anni: i blocchi di cemento armato. «Ora siamo in pace, non ce n’è più bisogno». Si lavora per il bene dell’Afghanistan, questo il senso del discorso di Mujahid e dell’intera macchina della comunicazione dei Talebani.

Che dopo aver escluso la presenza di combattenti stranieri, tanto meno pachistani, nei ranghi talebani, ha affrontato uno dei tasti dolenti: i soldi e gli aiuti di cui il Paese ha bisogno.

SI TRATTA DI UNO DEI DILEMMI della comunità internazionale: da una parte la necessità di tenere aperti canali di dialogo con i Talebani, per fronteggiare una gravissima crisi umanitaria che colpisce metà della popolazione. Dall’altra il tentativo di non riconoscere un governo che ha conquistato il potere con la forza. In poche parole: come e se fornire aiuti umanitari al Paese, una questione di cui chi predica il no al dialogo con i Talebani sembra non tener conto. «Non accetteremo condizioni agli aiuti che danneggino la nostra indipendenza», ha detto Mujahid. Che prova a tenere il punto, pur sapendo quanto il Paese abbia bisogno di sponde esterne. E quanto siano preoccupati i cittadini. Così, dopo aver annunciato la nomina del nuovo governatore a interim della Banca centrale, ieri i Talebani hanno anche nominato alcuni ministri, tra cui quello delle Finanze, Gul Agha. Per poi promettere che oggi le banche verranno riaperte.

TUTTO IL RESTO VERRÀ con il tempo. Con il completamento della formazione del governo. Si rafforza l’idea, ancora da confermare, che i Talebani possano istituire una sorta di comitato di indirizzo, con un forte potere esecutivo, che includa alcuni pezzi da novanta del movimento.

Tra cui il capo dell’Ufficio politico, Abdul Ghani Baradar, il figlio del fondatore dei Talebani e capo della Commissione militare mullah Yacub, e Khalil ur-Rahman Haqqani, membro della famiglia Haqqani, sulle liste dei terroristi dell’Onu e degli Stati Uniti, in questi giorni particolarmente attivo negli incontri politici, spesso solo di facciata, tra Kabul e Kandahar. Quanto al leader supremo, l’Amir al-Mumineen, il comandante dei fedeli Haibatullah Akhundzada, il portavoce assicura: «Presto tornerà a farsi vivo, se Dio vuole».

* Fonte: Giuliano Battiston, il manifesto



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