Transizione ecologica, l’appetito fossile sul Recovery Plan

by Luca Manes * | 8 Luglio 2021 9:08

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I miliardi del Recovery Plan facevano gola al comparto dei combustibili fossili, che ha messo in campo una capillare attività di lobby per aggiudicarsi una bella fetta dei fondi a disposizione. E così dall’estate del 2020 a oggi le super-potenze del settore, guidate da Eni e Snam, hanno avuto almeno 100 incontri con i ministeri chiave incaricati di redigere il Piano, una media di due a settimana. Dati desunti da varie richieste di accesso agli atti e dai registri dei ministeri e riportati nel rapporto Ripresa e Connivenza, lanciato da ReCommon negli ultimi giorni.

Le più attive sono state le già citate Eni e Snam, con 20 meeting a testa, principalmente finalizzati a ottenere sostegno per lo sviluppo dell’idrogeno «generato» dal gas, quello blu.

Se per Eni l’obiettivo è proprio poter continuare a tenere viva la produzione del gas, nel caso di Snam puntare sull’idrogeno serve a prolungare la vita delle sue infrastrutture e svilupparne di nuove, come le decine di stazioni di rifornimento a idrogeno per treni e camion incluse nel Pnrr, utili solamente a rallentare un reale cambio di modello nel settore dei trasporti, già tra i più inquinanti in assoluto. I due ministeri chiave con cui le aziende fossili hanno interloquito durante tutto il periodo di stesura del Piano, sono stati il ministero dello Sviluppo Economico (Mise) e il neo-istituito ministero della Tranzisione ecologica (Mite).

Per il Mise dal luglio 2020 all’aprile 2021, l’ex responsabile della Direzione Generale per l’energia, Gilberto Dialuce, ha avuto ben 41 incontri con i rappresentanti delle aziende fossili, per poi passare al ruolo di consigliere del ministro Roberto Cingolani.

QUEST’ULTIMO HA letteralmente spalancato le porte del dicastero da lui guidato all’industria fossile, con oltre tre abboccamenti a settimana – 18 con la presenza del ministro in persona. In poco più di un mese, Roberto Cingolani ha ricevuto l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi e quello di Snam Marco Alverà ben quattro volte, al fine di discutere dei progetti da inserire all’interno del Recovery Plan.

D’ALTRONDE IL MINISTRO Cingolani ha più volte espresso posizioni pro-gas e al suo fianco siede la leghista Vannia Gava, storica sostenitrice dell’industria fossile con alle spalle un impegno continuo per sbloccare le trivellazioni nel mare Adriatico. Vannia Gava è stata nominata come sottosegretaria del ministro, che di recente le ha affidato deleghe importantissime tra cui quella per l’economia circolare e ai rifiuti.

L’INDUSTRIA FOSSILE NON SI E’ «LIMITATA» ai ministeri, ma ha preso parte a dozzine di audizioni parlamentari, chiedendo maggiori finanziamenti per l’idrogeno blu e per il biometano. Pretese accolte in toto dai deputati di Camera e Senato nella loro relazione parlamentare sul Piano di ripresa italiano

COSI’ NEL CASO DELL’IDROGENO gli investimenti previsti sono saliti in maniera vertiginosa: si è passati dal miliardo previsto dalla prima versione del Pnrr ai 4,2 inclusi nel documento formale inviato alla Commissione Europea lo scorso aprile. A guidare l’incremento erano gli investimenti per i settori hard-to-abate, di cui fanno parte le raffinerie, passati da poco più di 300 milioni a 2 miliardi. All’interno di questa voce è stato ammesso l’idrogeno blu e persino il gas, indicato come necessario a sostituire il carbone nelle acciaierie.

COSI’ SI E’ APERTA LA PORTA anche al contestato progetto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (Ccs) al largo delle coste di Ravenna, che dopo le proteste locali era stato del tutto omesso dalla cornucopia di finanziamenti del Pnrr. Il Ccs è infatti indispensabile per produrre il tanto gradito idrogeno blu.

ALL’ULTIMO MOMENTO PERO’ si è registrato un vero e proprio colpo di scena: la Commissione europea ha chiesto maggiori garanzie al governo italiano riguardo ad alcune componenti del Piano, per assicurarsi che gli interventi non arrecassero danni all’ambiente. A quanto pare, i funzionari europei non avevano gradito il tentativo di Palazzo Chigi di insinuare il gas nelle pieghe del Pnrr, di fatto bocciando quella parte del documento. Una volta arrivato il no della Commissione europea al gas, il governo ha ridotto significativamente i finanziamenti per l’idrogeno, specialmente quelli per il comparto hard-to-abate, crollati a meno di un quarto di quelli previsti.

LA CONDIZIONE ARRIVATA IN EXTREMIS da Bruxelles ridimensiona almeno in parte le ambizioni dell’industria del gas, ma non si può ancora tirare un sospiro di sollievo. Anche nell’ultima versione del Pnrr sono state mantenute alcune scappatoie, come la possibilità di produrre idrogeno utilizzando l’elettricità proveniente dalla rete. L’industria vorrebbe spacciarlo come idrogeno verde, anche se chiaramente la produzione attuale di elettricità è tutt’altro che pulita, basandosi su gas e carbone per circa il 70%.

IL COMPARTO FOSSILE AVEVA GIA’ incassato un risultato di rilievo, allorché erano stati cancellati i pochi strumenti legislativi a cui le comunità potevano ricorrere per opporsi ai progetti imposti sui loro territori. Il Decreto Semplificazioni, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, ha costituito l’ultima di una serie di riforme volte ad accentrare sempre più i poteri decisionali e colpevolizzare il dissenso, persino quello istituzionale. Non solo sono stati dimezzati i tempi di rilascio delle Valutazioni di Impatto Ambientale (fino a un massimo di 175 giorni), ma si è consentito alla Presidenza del Consiglio di esautorare le amministrazioni locali e centrali in caso di opposizione ai progetti inseriti nel piano.

INSOMMA, IL SETTORE FOSSILE ne vuole sapere di mollare il colpo e anche nei prossimi mesi sarà indispensabile per la società civile e i gruppi ambientalisti tenere molto alta la guardia.

* Fonte: Luca Manes, il manifesto[1]

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