Santa Maria Capua Vetere. Il crimine al di là delle ideologie e il carcere dei poveri

by Moni Ovadia * | 4 Luglio 2021 8:42

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Le affermazioni perentorie non appartengono al mio costume mentale e men che meno a quello etico.

Questa volta farò un’ eccezione. Un gruppo di uomini che si accaniscono contro una persona inerme con percosse, o corpi contundenti sono un branco di vigliacchi sadici, o sono afflitti da una grave psicopatologia e devono essere sottoposti a terapie specifiche per impedire loro di nuocere. Chi guarda una azione cosi ripugnante senza reagire si comporta da vile.

E sia chiaro, non importa chi sia la persona aggredita, anche se si tratta di un criminale assassino, un aguzzino, un torturatore, un criminale di guerra o di un genocida. In una civiltà che si voglia tale si seguono le regole della giustizia altrimenti le differenze fra il criminale e la vittima si stingono fino a rendersi indistinguibili. Se si possono capire le reazioni di istintiva ed incontrollata aggressività di una madre o di un padre incontrando l’assassino del proprio figlio, non è lecito giustificarla. E non ci può essere nessuna comprensione per il branco che massacra l’inerme o vuole linciarlo. Se poi ci volgiamo verso la fattispecie per la quale siamo stati chiamati a confrontarci dalla visione di alcuni video di una parte della “macelleria” programmata a freddo e messa in atto da un folto numero di agenti di custodia contro i detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere per “vendetta” – i detenuti avevano inscenato una protesta per timore di contagio da Covid – tutto cambia. Ancorché parziali, le immagini trasmesse dalle televisioni ricavate dalle camere di sorveglianza grazie ad uno scoop di un giornalista del quotidiano Domani erano raccapriccianti, pugni, schiaffi, manganellate, calci, umiliazioni.

I video hanno provocato, come prevedibile, le reazioni indignate di commentatori, giornalisti, conduttori e politici vari. Ci sono state anche, come di prammatica, espressioni di solidarietà verso le forze di polizia garanti della sicurezza dei cittadini.

I tutori dell’ordine, se non vado errato, giurano fedeltà alla Costituzione Repubblicana, e garantiscono sicurezza ai cittadini nel quadro delle leggi e dei valori inalienabili espressi dalla Carta. Quando un poliziotto, un carabiniere o un agente di custodia si comporta come tale, la solidarietà nei suoi confronti è naturale e doverosa. Ma quando egli viola oltre ogni ragionevole dubbio le leggi del codice e quelle basilari dell’umanità, non solo non merita solidarietà bensì merita disprezzo e condanna. Una donna o un uomo che hanno titolo a indossare una divisa e a portare armi che li qualifica come rappresentanti dello stato, dovrebbero comportarsi come un pugile, un karateka o un maestro di arti marziali ed esercitare il massimo controllo sulla loro capacità di ferire, infierire e persino di uccidere. Un essere umano e, a fortiori, un servitore dello Stato dovrebbero sapere e sentire che un detenuto in attesa di giudizio e un condannato sono ristretti nel carcere per espiare una pena, ma quale che sia la loro colpa rimangono esseri umani, l’integrità della loro persona, la loro dignità personale e sociale sono inviolabili. Appartengono a loro e solo a loro. Non sono a disposizione né dell’autorità di polizia, né di quella investigativa, né di quella giudicante, né di quella carceraria. E quella delle guardie delle carceri deve custodire e garantire dignità ed integrità.

Non sono un uomo ingenuo e sprovveduto, so quali siano le condizioni del nostro sistema carcerario, quanto siano dure e alienanti, non solo per i detenuti ma anche per le guardie. La Corte Europea dei Diritti ha ripetutamente condannato il nostro Paese per le sue violazioni, le sue carenze e le sue inadempienze.

La mediocre classe dirigente dell’Italia, in particolare di quella politica, con rarissime eccezioni, non si occupa di questo decisivo problema nel tracciare il confine che separa barbarie da civiltà. Anche una parte non piccola dei nostri concittadini sa essere molto forcaiola quando si tratta dei detenuti che appartengono ai ceti diseredati. Per tutto ciò dobbiamo tenere a mente il monito che ci viene dal secolo breve e feroce: quando si espungono da un essere umano integrità e dignità lo si trasforma in uno stuck, un pezzo e risuona l’eco dei vagoni piombati con destinazione sterminio.

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