by Andrea Fabozzi * | 4 Luglio 2021 8:51
L’ostilità della Lega in generale e di Matteo Salvini in particolare alla legge Fornero è nota e ripetuta tutte le sere in tv. Quello che è meno noto è che la Lega nel maggio del 2012 contribuì a scrivere un pezzetto di quella legge[1], malgrado fosse all’epoca all’opposizione del governo Monti. Riuscì infatti a far passare un emendamento per la cancellazione della pensione sociale ai condannati per mafia e terrorismo. Una battaglia “legge e ordine” nella quale si distingueva allora il deputato del Carroccio Massimiliano Fedriga, oggi presidente della conferenza delle regioni. Venerdì la Corte costituzionale ha cancellato proprio quel pezzetto “leghista” della legge Fornero. Dichiarando incostituzionale quel particolare «statuto di indegnità» previsto dal legislatore, perché «pone in pericolo la stessa sopravvivenza dignitosa del condannato, privandolo del minimo vitale, in violazione dei principi costituzionali su cui si fonda il diritto all’assistenza».
Questi principi, ricorda la sentenza[2] redatta dal giudice costituzionale Giuliano Amato, sono chiaramente stabiliti dal primo comma dell’articolo 38: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale». Cosa che evidentemente non sarebbe garantita al condannato ammesso alla detenzione domiciliare, ma privato dei mezzi di minima sussistenza. Com’era il caso dei due condannati le cui vicende sono alla base dei due ricorsi arrivati alla Corte costituzionale. Il primo, dal tribunale di Fermo a proposito di un ex collaboratore di giustizia, è stato ritenuto inammissibile dalla Consulta per difetti dell’ordinanza di remissione. Il secondo, dal tribunale di Roma, ha portato alla sentenza di accoglimento di venerdì. Nella quale si prende in esame il destino dei condannati per mafia e terrorismo ai quali, in genere dopo molti anni, viene concesso il beneficio della detenzione fuori dal carcere. Per concludere che con l’emendamento leghista alla legge Fornero «risulta violato lo stesso principio di ragionevolezza, perché l’ordinamento valuta un soggetto meritevole di accedere a forme alternative di detenzione, ma lo priva poi dei mezzi per vivere, ottenibili, in virtù dello stato di bisogno, solo dalle prestazioni assistenziali».
La sentenza salvaguarda così l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione di invalidità civile, tutti strumenti che secondo la Corte costituzionale «hanno natura meramente assistenziale». E si differenziano pertanto dal reddito di cittadinanza – per il quale la sospensione per i condannati per reati particolarmente gravi anche se non detenuti in carcere è stata ritenuta legittima – che ha «natura di reinserimento lavorativo». La sentenza, infine, non riguarda quella parte della legge Fornero che prevede la sospensione anche della pensione ordinaria nel caso di reati particolarmente gravi, parte che più è assimilabile ai casi di ex parlamentari condannati ai quali è stato prima revocato e poi restituito il vitalizio.
* Fonte: Andrea Fabozzi, il manifesto[3]
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