by Carlo Lania * | 9 Giugno 2021 12:22
Non riuscendo a mettersi d’accordo su come gestire i flussi di migranti in arrivo, l’Unione europea trova una strategia comune nel guardare fuori dai propri confini scegliendo – cosa tra l’altro non nuova – di intensificare i rapporti con i Paesi di origine di quanti cercano di attraversare il Mediterraneo. Il che significa provare a siglare accordi bilaterali per i rimpatri, affiancati da aiuti economici utili per rendere le frontiere africane più difficili da attraversare. A cominciare, è stato sottolineato nel vertice dei ministri degli Interni che si è tenuto ieri a Lussemburgo, da Tunisia e Libia, principali Paesi di partenza dei barconi. Il tutto nella speranza di riuscire a trovare una mediazione possibile entro il 24 giugno, quando a Bruxelles torneranno a riunirsi i capi di Stato e di governo. «Per i Paesi mediterranei riuniti nel gruppo Med5 (oltre all’Italia ci sono Spagna, Grecia, Cipro e Malta, ndr) è fondamentale che la trattativa sul nuovo Patto immigrazione e asilo segua contemporaneamente i temi legati alla responsabilità e quelli concernenti la solidarietà tra Stati membri», aveva spiegato prima dell’incontro la ministra Luciana Lamorgese.
Per l’Italia, che da tempo spinge per un maggiore impegno dei partner europei nella ricollocazione dei migranti, è difficile considerare il summit un successo visto che, come ammesso dalla commissaria agli Affari interni Ylva Johansson, «non si è discusso di schemi volontari di redistribuzione dei richiedenti asilo tra i Paesi Ue, come quello concordato a Malta tempo fa». Ricreare quell’accordo tra Paesi «volonterosi», siglato alla Valletta da Lamorgese poco dopo il suo arrivo al Viminale nel 2019 e poi naufragato a causa della pandemia, era uno degli obiettivi che l’Italia sperava di raggiungere in mancanza di un meccanismo che rendesse finalmente obbligatorio per tutti gli Stati accogliere i richiedenti asilo.
Che anche questo risultato minimo fosse però in bilico lo si era capito da giorni. Nonostante le promesse, sia Germania che Francia hanno fatto sapere di non essere interessate, riducendo così il gruppo dei «volenterosi» ai soli Irlanda, Lussemburgo e Lituania, per un totale di appena 28 posti con la Lituania che per di più da giorni chiede aiuto all’Unione europea per fermare i tentativi della Bielorussia di far attraversare le sue frontiere da gruppi di migranti.
La strada è talmente in salita da costringere l’Italia a cambiare la propria strategia. Finora, infatti, Roma ha sempre sostenuto di voler modificare il Patto su Immigrazione e asilo presentato lo scorso settembre dalla presidente Ursula von der Leyen discutendo tutti insieme i punti su quali non è d’accordo, a partire proprio dai ricollocamenti. Ieri, di fronte al muro opposto da Austria, Danimarca, Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia, ma anche al passo indietro fatto nel frattempo da Berlino e Parigi, i ministri dell’Interno di tutto il gruppo Med5 hanno comunicato con una lettera di voler arrivare a un compromesso accettando intanto di sbloccare le trattative sul regolamento dell’Easo, l’Agenzia europea per l’asilo. Un passo in avanti definito «un grande successo» dal ministro dell’Interno portoghese Eduardo Cabrita, e che potrebbe avere ripercussioni sul vertice di fine mese.
Appuntamento reso però più complicato da un’altra lettera fatta arrivare sempre ieri a Bruxelles e sottoscritta questa volta da Germania, Lussemburgo, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Svizzera. Alla Commissione europea i sei Stati dell’area Schengen chiedono di fermare i movimenti secondari dalla Grecia, ovvero quei migranti che dopo aver presentato richiesta di asilo ad Atene, si mettono in viaggio verso il nord Europa con l’intenzione di raggiungere, prima fra tutti, la Germania.
* Fonte: Carlo Lania, il manifesto[1]
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