by Anna Maria Merlo * | 25 Giugno 2021 8:45
La Ue è fondata su valori di eguaglianza e non discriminazione, chi è entrato nel club li ha accettati, se li contraddice deve pagarne le conseguenze (anche finanziarie). Il Consiglio europeo, che si conclude oggi a Bruxelles, ha cambiato l’ordine del giorno, aggiungendo in testa alla lista la «vergogna» della legge ungherese che discrimina le persone Lgbtqi+.
NELLA LETTERA, firmata da 17 paesi (Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Estonia, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Cipro, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Finlandia, Svezia), a cui si è aggiunta la «favorevole neutralità» del Portogallo (che ha fino a fine mese la presidenza del Consiglio Ue), non è citata esplicitamente l’Ungheria. Ma al governo Orbán, e in particolare alla legge del 15 giugno che equipara pedofilia, pornografia e omosessualità, si fa indirettamente riferimento nel passaggio che deplora «le minacce contro i diritti fondamentali, in particolare il principio di non-discriminazione a causa dell’orientamento sessuale». I firmatari si impegnano a «continuare a combattere le discriminazioni nei confronti della comunità Lgbtiq+, riaffermando la difesa dei loro diritti fondamentali». Il testo sottolinea che «il rispetto e la tolleranza sono al centro del progetto europeo», perché «le generazioni future crescano in un’atmosfera di eguaglianza e di rispetto».
ANCHE IL SEGRETARIO generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ieri era a pranzo con i leader europei (26, Draghi era rappresentato da Merkel) ha aderito al contenuto della lettera: «La discriminazione contro le persone Lgbtiq+ è totalmente inaccettabile nella società moderna».
La Commissione ha precisato ieri le azioni legali possibili: Didier Reynders, commissario alla Giustizia, ha spiegato che la Ue è «pronta» a rivolgersi alla Corte di Giustizia, per avviare una «procedura di infrazione» contro l’Ungheria, che potrà comportare penalità finanziarie. Altri «strumenti» della Ue sono il blocco di fondi. Il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, invita la Commissione a «legare i fondi al rispetto dello stato di diritto».
L’Ungheria è già sotto la procedura articolo 7, per il non rispetto dello stato di diritto – l’altro ieri c’è stata la terza udienza di fronte ai ministri degli Esteri – ma qui i tempi sono molto lunghi e ci vuole l’unanimità per condannare (la Polonia, contro la quale è anche in corso una procedura articolo 7, può bloccare la condanna, e viceversa). Reynders, con il commissario al Mercato interno Thierry Breton, qualche giorno fa ha scritto una lettera alla ministra della Giustizia ungherese, Judith Varga, per chiedere «chiarificazioni» sulla legge che «viola i valori della Ue». I due commissari aspetteranno la risposta fino a fine giugno, poi se non ci sarà un chiarimento innescheranno la procedura di infrazione.
LA UE NON È UN BANCOMAT, come pensa Viktor Orbán, ha in pratica detto la parte occidentale del leader europei ieri. L’est ha taciuto. Bulgaria, Romania, Slovenia (che prende la presidenza del Consiglio da luglio), Repubblica ceca, Polonia, Slovacchia, Croazia, Lituania ed evidentemente Ungheria, non hanno firmato la lettera sui valori Ue. Un’analoga divisione era già venuta alla luce nel 2011, per la ratifica della Convenzione di Istanbul per prevenire e combattere le violenze contro le donne (impegno da cui è uscita di recente la Turchia).
L’olandese Mark Rutte è stato il più diretto: «O l’Ungheria abroga la legge oppure lascia la Ue» (ma non esiste una procedura per espellere un paese membro).
Per Emmanuel Macron, «la legge ungherese non è in linea con i nostri valori», bisogna «essere franchi e fermi» nei confronti di Orbán, «non mostrare debolezza verso chi infrange lo stato di diritto». Il presidente francese appoggia l’azione legale della Ue contro Budapest, «in nome di tutti noi, in nome dei nostri principi».
Per il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, «i valori sono al centro del progetto europeo». Mario Draghi sottolinea che «l’odio, l’intolleranza, la discriminazione non hanno posto nella Ue», le prossime generazioni devono «crescere in un’Europa di eguaglianza e di rispetto».
Per il primo ministro belga, de Croo, l’Ungheria «è andata troppo lontano», «la Ue è un club con delle regole».
Per l’irlandese Micheal Martin, «le autorità ungheresi stanno trasgredendo un valore fondamentale della Ue». Il lussemburghese Xavier Bettel ha portato la sua esperienza personale: «Accettarmi come gay è stata la cosa più difficile, come dirlo ai genitori, mischiare pedofilia, pornografia e omosessualità è inaccettabile».
Orbán si difende, dice che la legge non è omofoba, ma «riguarda il modo in cui un bambino apprende la sessualità, sono questioni difficili, le decisioni riguardano solo i genitori e lo stato deve creare le condizioni perché possano esercitare questo diritto».
* Fonte: Anna Maria Merlo il manifesto[1]
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