by Roberto Ciccarelli * | 2 Giugno 2021 9:41
Un’imposta del 25% sui profitti delle grandi multinazionali europee potrebbe garantire entrate per 170 miliardi di euro aggiuntivi ogni anno nei paesi dell’Eurozona. Altri 30 miliardi di euro arriverebbero dalla tassazione di una parte del deficit fiscale delle multinazionali non europee che operano nel continente (deficit fiscale: la differenza tra quanto pagano in tasse oggi e quanto pagherebbero in ciascun paese se fossero soggette a un’aliquota minima). L’Unione europea aumenterebbe così le sue attuali entrate fiscali societarie di circa il 50% nel 2021 – dai 340 miliardi di euro che prevede di raccogliere nel 2021 con la legge attuale a circa 510 miliardi di euro, con un aumento di circa l’1,2% del Pil che passerebbe dal 2,4% al 3,6%.
Ciascun paese potrebbe beneficiarne: la Germania, ad esempio, avrebbe 29 miliardi di entrate in più, l’Italia 11 miliardi. Una soluzione realistica, agevolata da propositi molto simili enunciati dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden che tuttavia il 20 maggio scorso ha fatto una mezza marcia indietro e ha riportato l’aliquota dal 21% al 15%. Queste somme potrebbero pagare i costi della pandemia. O finanziare in Italia l’estensione senza vincoli del «reddito di cittadinanza» verso un reddito di base.
Questa è la tesi avanzata da Gabriel Zucman, già vicino a Thomas Piketty, oggi docente a Berkeley in California. L’economista franco-americano è stato nominato ieri dalla Commissione Europea coordinatore dell’osservatorio fiscale europeo, un ente di ricerca indipendente che si propone di fornire informazioni e analisi ai governi per affrontare il problema dell’evasione e dell’elusione fiscale. Questo consorzio di ricercatori avrà sede presso la Paris School of Economics e sarà finanziato con 1,2 milioni di euro.
Insieme ai ricercatori Mona Barake, Theresa Neef, Paul-Emmanuel Chouc, Zucman ha pubblicato ieri un report che una svolta nella politica fiscale continentale, sempre che i governi europei trovino un accordo. La tassazione delle multinazionali va dunque portata al 25%. È l’obiettivo minimo per ripristinare un regime fiscale equo. Nella ricerca sono prospettate aliquote più basse: al 21% e al 15%. Quest’ultimo «è un tasso ridicolmente basso rispetto a quella che è stata storicamente la norma» sostiene Zucman. Se l’aliquota fosse del 25% le banche europee i dovrebbero pagare il 44% in più di tasse. Aziende come Shell, Iberdrola o Allianz il 35-50% in più.
L’analisi è interessante perché rivela un aspetto trascurato quando si parla di tassazione delle multinazionali. Si parla sempre di quelle americane che operano in Europa (Amazon, Facebook e compagnia) e quasi mai di quelle europee. La notizia è: esistono e godono di vantaggi grazie al laissez faire fiscale in vigore. La ricerca sostiene che dalla tassazione delle aziende europee si otterrebbe una cifra superiore rispetto a quelle Usa. Queste ultime realizzano la maggior parte dei profitti fuori dall’Ue. Una tassazione, (pur sempre di 30 miliardi), raccoglierebbe una frazione e sarebbe basata sulle vendite. Se Biden aumentasse l’aliquota minima al 21% il ricavato per i paesi Ue diminuirebbe ancora. Rispetto alla concorrenza sleale tra governi (la costituzione materiale del liberismo europeo) la ricerca prospetta questo scenario: colpire i paradisi fiscali voluti dai governi di Irlanda, Cipro o Lussemburgo, beneficiare i loro cittadini con maggiori entrate per finanziare i servizi pubblici. Per farlo dovrebbero eleggere governi che si propongono di realizzare questo programma. In Italia, e non solo, con politici fortemente condizionati dal conformismo fiscale al servizio dei dominanti, non è detto che le cose andrebbero così.
* Fonte: Roberto Ciccarelli, il manifesto[1]
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