Lombardia, l’assessore Moratti conferma: sanità e risorse restano al privato

Lombardia, l’assessore Moratti conferma: sanità e risorse restano al privato

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L’assessora regionale al welfare, Moratti, sta apparecchiando il tavolo per revisionare l’Evoluzione del sistema socio-sanitario regionale: titolo della riforma voluta da Maroni nel 2015. L’ultimo colpo al precedente assessore Gallera l’aveva dato l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas) evidenziando incongruenze nei rapporti tra Regione, Agenzie di tutela delle salute Ats (ex Asl) e Aziende Socio Sanitarie Territoriali Asst (ex Aziende Ospedaliere) richiedendo però solo poche modifiche obbligatorie e aggiungendo raccomandazioni per la revisione di un modello sanitario sperimentale che fino al Covid-19 sembrava solidissimo.
Nonostante il disastro della pandemia in Lombardia né Agenas né il Ministero della Salute rilevano problemi sul rapporto pubblico-privato palesemente sbilanciato sul secondo, sulla gestione privatistica dei malati cronici incluse Rsa, lazzaretti per anziani e disabili, sulla distruzione della medicina territoriale, sull’abbandono dei medici di medicina generale – che il ministro per lo Sviluppo economico, Giorgetti, voleva sostituire con la telemedicina – né sulla frammentazione delle competenze e la riduzione del personale.

Con una delibera del 31 maggio l’assessore Moratti ha proposto una tavola indigesta per associazioni, enti e sindacati di base che chiedono un servizio (non un sistema) sanitario regionale fondato sui principi della vera riforma, la legge 833/1978: obiettivi di salute individuale e collettiva come prodotto di prevenzione, cura e riabilitazione. Le pietanze apparecchiate sono una risposta alle poche richieste obbligatorie di Agenas per cambiare il meno possibile e innestare sull’esistente alcuni contenuti del Pnrr: case di comunità, medicina di prossimità, ospedali di comunità ecc. Un vero ircocervo condito con il velo della libertà di scelta; parliamo di un sistema che in realtà ha volutamente prodotto l’esplosione delle liste di attesa nel pubblico.

Si aggiungono alcune perle: la duplicazione dei dipartimenti di prevenzione ora in capo alle Ats con un servizio analogo nella Asst. I servizi di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro non sono neppure citati. I tecnici della prevenzione, in smartworking durante la fase1 della pandemia, sono ancora utilizzati per il tracciamento, attività necessaria ma non riducendo quelle di controllo. Non si assumono operatori, neppure se previsti da 3 anni. La Regione si è però data l’obiettivo di aiutare le imprese con consulenze invece che con ispezioni repressive: sono le imprese, non lavoratori e lavoratrici, a dover essere aiutate per far rispettare gli obblighi di legge.

Da ultimo, non per importanza, un invito al welfare aziendale quale ponte per nuove forme di partecipazione del privato all’erogazione delle prestazioni, nel silenzio dei sindacati confederati che non si rendono conto di aver attivato con i benefit nei contratti un cancro della sanità pubblica.

Cosa chiedono le associazioni che condividono un’idea alternativa? Intanto che si rovesci il flusso di riorganizzazione del servizio sanitario regionale: anziché dall’assessorato e scendere fino ad Ats, Asst, Ospedali con in fondo i servizi territoriali, chiedono di iniziare da questi rendendo poi coerenti con tale impostazione le strutture di comando.

Si deve parlare di case della salute ma riempiendole di contenuti ed essendo queste le realtà più vicine agli assistiti, per definirne le priorità vanno garantiti la partecipazione dei cittadini e un ruolo degli enti locali: chi ricorda che è il Sindaco la massima autorità sanitaria locale? A questo livello andrà definita l’assistenza domiciliare integrata o di prossimità (domiciliare) in particolare per chi ha patologie croniche o disabilitanti invece del ricovero nelle Rsa.

Si parli poi di Distretti socio-sanitari affrontando il nodo del rapporto con i medici di medicina generale così come l’incremento di risorse e operatori: il ruolo della telemedicina, per esempio, che non è di risparmiare ma di potenziare i servizi. Qui troveranno sede i dipartimenti di prevenzione: sicurezza sul lavoro, veterinaria e alimentare, igiene edilizia e pubblica in coordinamento con gli enti che si occupano di ambiente a partire dall’Arpa.

A seguire: definire il ruolo degli ospedali di comunità per i ricoveri brevi e di quelli di elevata complessità, pensare a coordinarli invece di introdurre aziende ospedaliere separate fra loro e dal mondo. Le Ats vanno abrogate, si può pensare a un’agenzia per coordinare i diversi enti; comunque fine delle gestioni frammentate Ats e Asst. Un aspetto da risolvere trasversalmente è quello dei ruoli nel rapporto pubblico-privato: il pubblico definisce gli obiettivi e il privato, se partecipa, li accetta, invece di un sistema in cui il privato è disponibile ma solo per le prestazioni più profittevoli.

Il contrario delle rivendicazioni dell’Associazione Italiana Spedalità Privata che in una recente audizione alla Commissione sanità regionale ha chiesto di erogare le prestazioni sanitarie e sociosanitarie delle future case e ospedali di comunità. Gli insaziabili si apprestano al banchetto ma le associazioni si preparano a far saltare il tavolo lombardo o almeno a farlo ballare: la salute non è una merce, la sanità non è una azienda.

*Medicina Democratica, Società della Cura – Tecnico della Prevenzione

* Fonte: Marco Caldiroli, il manifesto



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