Il Consiglio europeo insiste sul «modello Turchia» e prova a fermare i migranti
E’ bastata una manciata di minuti, dieci per la precisione, ai leader europei per approvare le parti riguardanti l’immigrazione del documento che oggi chiuderà a Bruxelles il Consiglio europeo. Tutti si sono detti d’accordo nell’intervenire nei Paesi di origine e di transito per cercare di arginare i flussi di quanti cercano di arrivare in Europa e per questo è stato data mandato alla Commissione europea di mettere a punto un piano di interventi finanziari da presentare entro il prossimo mese di novembre. E’ il via libera a quella che a Bruxelles chiamano la dimensione esterna dell’immigrazione.
Erano tre anni, dal mese di giugno del 2018, che un vertice dei capi di Stato e di governo non discuteva di immigrazione. Eppure, nonostante le pressioni fatte nelle scorse settimane da Mario Draghi, ieri l’argomento è stato affrontato e liquidato in tutta fretta, velocità facilitata dal fatto che gli argomenti più spinosi, ma anche più importanti per i Paesi come l’Italia che affacciano sul Mediterraneo come il ricollocamento dei migranti tra gli Stati membri, non sono stati neanche sfiorati, tanto da non figurare neppure nel documento finale.
Bruxelles punta dunque a intensificare i partenariati e le cooperazioni: «L’approccio sarà pragmatico, flessibile e su misura», è scritto nel documento preparato dal presidente Charles Michel, e per questo i 27 invitano la Commissione «a fare il miglior uso possibile» di almeno il 10% del fondo Ndici, lo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale. Si tratta di 8 miliardi di euro da distribuire tra i Paesi maggiormente coinvolti dal passaggio dei flussi. Infine il Consiglio ha «condannato e respinto ogni tentativo di Paesi terzi di strumentalizzare i migrati a fini politici».
Si tratta di un riferimento rivolto soprattutto alla Turchia, ma è chiaro che Bruxelles punta a riallacciare un dialogo con Ankara dopo le tensioni dei mesi scorsi per arrivare a una riedizione dell’accordo siglato nel 2016 (cifre ufficiali ancora non se ne fanno ma ci sarebbero 3,5 miliardi di euro già pronti). Senza perdere molto tempo, perché l’annunciato ritiro delle truppe Nato e Usa dall’Afghanistan, e la conseguente riconquista del Paese da parte dei talebani, rischia di intensificare nuove partenze che, senza la collaborazione della Turchia, finirebbero col riversarsi sulla rotta balcanica fino a raggiungere il cuore dell’Europa. E finanziamenti per 2,2 miliardi di euro sarebbero già stati stanziati per Giordania e Libano, due tra i Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati siriani.
Diverso il discorso per la Libia. La possibilità di arrivare con Tripoli a un accordo simile a quello raggiunto con la Turchia è resa difficile, se non impossibile, dalla poca affidabilità dell’attuale governo e dalla presenza nel Paese di soldati e mercenari stranieri. La speranza è che le elezioni previste a dicembre possano cambiare la situazione favorendo una maggiore stabilizzazione del Paese nordafricano magari, come auspicato da Draghi, sotto l’egida delle Nazioni unite. Nel frattempo è probabile che si continuerà con i finanziamenti dell’Italia alla cosiddetta Guardia costiera libica.
* Fonte: Carlo Lania, il manifesto
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