Femminicidi: «Su Saman Abbas dalla sinistra troppo silenzio»

by Giansandro Merli * | 5 Giugno 2021 8:46

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Saman Abbas, diciottenne di origini pakistane, è scomparsa da più di un mese, dalla notte del 30 aprile scorso. Viveva a Novellara, in provincia di Reggio-Emilia. Madre e padre sembrano essere fuggiti in Pakistan. Sono ricercati insieme allo zio Danish Hasnain e a un cugino. Un altro cugino è stato arrestato in Francia e si attende l’estradizione. Il sospetto è che l’abbiano uccisa per il rifiuto di un matrimonio combinato che si sarebbe dovuto tenere in Pakistan. L’Unione delle Comunità Islamiche in Italia (Ucoii), l’ente religioso di rappresentanza dei musulmani più radicato in Italia, ha condiviso una fatwa contro questa pratica. «Non ha nulla a che fare con la religione», afferma Nadia Bouzekri, classe ’92 e vicepresidente dell’organizzazione.

Cos’è una fatwa?

Un parere religioso-giuridico per chiarire questioni su cui i musulmani si interrogano. In genere viene rilasciata da un mufti o da un centro di ricerca. In Italia c’è l’associazione degli Imam e delle guide religiose.

L’Ucoii a che titolo la emana?

Non è l’Ucoii a farlo, ma l’associazione degli Imam. In concerto con noi. Questa fatwa non dice qualcosa di nuovo, ma ribadisce un concetto dandogli forza.

Avete condannato matrimoni forzati e infibulazione. Sono fenomeni presenti nelle comunità islamiche in Italia?

I matrimoni forzati sono episodi che avvengono in nicchie etniche molto ristrette. Non c’entrano nulla con la religione, hanno più un aspetto culturale. Si rifanno alle usanze di alcuni Paesi in cui si praticano ancora nonostante siano illegali. Come il Pakistan. L’infibulazione, invece, avviene soprattutto in Africa. Anche qui: nulla a che fare con la religione. È una pratica barbarica.

I matrimoni forzati riguardano solo le donne o anche gli uomini?

Entrambi. Certo, dove le ragazze fanno fatica ad accedere al mondo del lavoro, diventano più facilmente succubi delle famiglie.

Quindi, più che dalla religione, secondo lei il fenomeno dipende dalla cultura e dalla famiglia patriarcale?

Assolutamente. È ovvio che in contesti in cui la donna vive una situazione di sudditanza, dove il maschilismo la fa da padrone e le figlie non hanno voce in capitolo si possano creare situazioni di questo tipo. È nostro compito, anche con comunità e amministrazioni locali, intercettare i casi a rischio e prevenire i delitti. Non dimentichiamo che fino a non molti anni fa in Italia il delitto d’onore era un costume diffuso: sono questi i concetti da sradicare, a prescindere dalle culture. La violenza di genere è trasversale a culture e religioni. È un problema di come si concepisce la donna, vista come inferiore.

Lei è stata la prima presidente donna dei Giovani musulmani. C’è un conflitto generazionale con i genitori su questi temi?

Il conflitto generazionale c’è a prescindere da prima o seconda generazione, da nazionalità o credo. È comune a tutti. Negli ultimi tempi ci sono stati fenomeni di attivismo di molte ragazze che hanno conquistato indipendenza ed emancipazione. Episodi come quello di Saman sono molto più sporadici rispetto solo a qualche anno fa.

A sinistra si fa fatica a parlare di fatti simili per paura di alimentare l’islamofobia?

Bisogna uscire da sigle di appartenenza o orientamenti, bisogna soprattutto agire contro le ingiustizie. Abbiamo visto prese di parola da destra con lo scopo di strumentalizzare questa vicenda contro le comunità islamiche. A sinistra noto un silenzio più preoccupante. Bisogna parlare.

In questi anni il movimento femminista Non Una Di Meno si è battuto contro i femminicidi e le varie forme di oppressione delle donne. È un alleato nella battaglia per l’autodeterminazione?

Qualsiasi movimento, associazione o persona che sia contro i femminicidi e questo tipo di pratiche è un alleato. Solo insieme a tutti coloro che vogliono cambiare la nostra società e il nostro Paese possiamo andare avanti.

Il giorno della pubblicazione della fatwa, l’Ucoii è intervenuto in audizione presso la commissione Giustizia del Senato della repubblica sul Ddl Zan. Avete criticato il concetto di «identità di genere». Perché?

Siamo a favore di tutte le misure contro le discriminazioni, che come musulmani viviamo in prima persona. Per questo saremo sempre per la difesa dei diritti di tutti. L’identità di genere, però, è qualcosa che non è ancora ben definito. Soprattutto se parliamo del contesto scolastico importare concetti divisivi che nella società non hanno un’interpretazione chiara può essere problematico per le nuove generazioni. Per questo alcuni articoli del Ddl ci hanno lasciato perplessi.

* Fonte: Giansandro Merli, il manifesto[1]

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