Migranti. Rapporto dell’Unhchr: nel Mediterraneo regna una «indifferenza letale»

Migranti. Rapporto dell’Unhchr: nel Mediterraneo regna una «indifferenza letale»

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«In acqua le possibilità sono 50-50. Il mare non è semplice, puoi stare sicura o morire», racconta una donna nigeriana agli intervistatori dell’Unhchr. La sigla indica l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani, che ieri ha pubblicato un nuovo rapporto sulla rotta migratoria che unisce i paesi costieri delle due sponde del «Mare Nostrum». Il titolo è inequivocabile: Indifferenza letale: Ricerca, soccorso e protezione dei migranti nel Mediterraneo Centrale. «Evitabile» è la parola chiave del report: ci sono strumenti tecnici e obblighi giuridici sufficienti a evitare che il mare inghiotta vite e le spiagge restituiscano cadaveri.

Lo studio è stato condotto tra gennaio 2019 e dicembre 2020: in quel periodo almeno 2.239 migranti sono morti tentando di attraversare il mare, di «bouzar» come dicono molti di loro, lungo la rotta centrale (69% delle vittime di tutto il Mediterraneo). Dall’inizio del 2021 tra corpi ritrovati e dispersi il tragico conteggio ha già raggiunto 632 vite (dato Oim). Ma questi numeri, sostengono le organizzazioni internazionali, sono al ribasso: ci sono naufragi di cui non sappiamo nulla o conosciamo solo alcune delle vittime. Tra 2019 e 2020, poi, quasi 20mila persone sono state ricondotte con la forza in Libia. La progressione delle catture indica una crescente efficacia della sedicente «guardia costiera» di Tripoli: 8.403 persone nel 2019, 10.352 nel 2020. Quest’anno sono già 9.659 (dato Oim).

Per l’Unhchr, presieduto da Michelle Bachelet Jeria (ex presidente del Cile), sono 5 le questioni a monte della situazione: mancata assistenza ai migranti in pericolo in mare; intercettazioni e soccorsi pericolosi; respingimenti; criminalizzazione delle Ong; ritardi degli sbarchi e accoglienza inadeguata. Su ogni punto l’Alto commissariato fornisce dati, episodi e voci e poi alla fine indica a tutti i soggetti competenti, in primis le autorità europee e gli Stati di Italia, Malta e Libia, delle raccomandazioni.

Sono menzionati i «respingimenti per procura», cioè delegati ai libici ma coordinati da assetti europei, e i respingimenti privati, cioè operati da imbarcazioni commerciali. Come la El Hiblu che stava per riportare in Libia 108 persone su indicazione di un aereo della missione Sophia, ma è stata fermata da una protesta a bordo per cui Malta, dove poi sono sbarcati i migranti, ha accusato tre minorenni di terrorismo. Oppure come una petroliera filippina che a 44 miglia da La Valletta ha incontrato un barcone pieno di donne, ha chiesto indicazioni al centro di coordinamento dei soccorsi italiano e le ha riportate indietro. «Benvenute a Malta», ha detto ridendo un ufficiale di Tripoli allo sbarco. Alcune sarebbero state vendute ai trafficanti.

Tra le varie raccomandazioni una sembra diretta a ministero delle Infrastrutture e Guardia costiera italiana che in 12 mesi hanno disposto 9 fermi amministrativi di navi Ong: «Rivedere e sospendere ogni misura amministrativa, normativa e altra pratica animata a/risultante in prevenire o ostacolare le imbarcazioni umanitarie Sar dal sostenere i migranti in pericolo».

* Fonte: Giansandro Merli, il manifesto



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