La retata di Parigi, ovvero quando la politica lascia campo libero alla polizia

by Franco Corleone * | 1 Maggio 2021 10:08

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C’è un grande merito nell’operazione congiunta di servizi e polizie italo-francesi per gli arresti effettuati all’alba nelle abitazioni con le modalità di un blitz degno di miglior causa. Quello di farci ringiovanire di colpo di cinquant’anni e di questo personalmente sono grato perché posso pensare che cosa mi accadrà di vedere nel 2068.

Io ricordo bene quegli anni a Milano e di avere scritto di Feltrinelli dilaniato sul traliccio di Segrate e ricordo anche il giorno in cui si diffuse la notizia dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, così come ho impresso nella mente l’esplosione della bomba in piazza Fontana e il defenestramento di Pino Pinelli.

In Parlamento sono stato protagonista della approvazione della legge Gozzini del 1986 e in particolare dell’emendamento che alzava i giorni di liberazione anticipata a 45 giorni a semestre e soprattutto della sua retroattività. Nelle visite nelle carceri era accolto con grande entusiasmo. Mi occupai intensamente anche della legge sulla dissociazione del 1987 e presentai emendamenti che erano stati preventivamente discussi nelle patrie galere; in particolare non ebbe successo la proposta di definire la legge come desistenza, suggerita da Sergio Segio. Se fosse stata approvata quella ipotesi probabilmente si sarebbe potuta aprire una stagione di confronto su una esperienza tragica e avrebbe potuto ottenere una adesione più ampia e con una spinta a un confronto senza reticenze.

È bene ricordare che anche le proposte di amnistia e indulto per i fatti legati alla lotta armata, presentate anche da una personalità insospettabile come Ugo Pecchioli del Partito Comunista, caratterizzato da durezza e intransigenza, non ebbero successo e quindi si trattò di una occasione mancata per una riflessione storica. Proporre oggi una commissione per verità e riconciliazione come fu fatto in Sudafrica è assolutamente fuori tempo.

Nel 1988 appena avvenuto l’arresto di Sofri, Pietrostefani e Bompressi dopo la confessione di Leonardo Marino, mi recai nella caserma dei carabinieri di via Moscova dove Sofri era sequestrato. Da allora mi occupai della carcerazione e dei processi dei tre esponenti di Lotta Continua fino alla fine controversa della vicenda giudiziaria, che ebbe il culmine vergognoso in una sentenza suicida che portò all’annullamento di una assoluzione.

Ricordo tutto questo perché è evidente che la carcerazione di sette condannati per fatti risalenti nel tempo non porterà a nessun risultato di chiarificazione storica e personale. Inevitabilmente ci si interroga sul senso della impresa “Ombre rosse” e pare che sia più a uso e consumo della Francia di Macron che della ministra Cartabia, che pare abbia rassicurato che non si ripeteranno sceneggiate squallide come quelle messe in atto dall’ex ministro Bonafede per l’arrivo di Cesare Battisti.

Certo il passaggio dal gigante Mitterrand al micro Macron, conferma che la politica si rimpicciolisce fino ad annullarsi. Il senso assai modesto dell’operazione è stato messo efficacemente in luce da Giuliano Ferrara; anche il dolore dei parenti delle vittime non troverà grande ristoro e riaprirà ferite senza la consolazione neppure della vendetta.

La retorica e la demagogia non aiutano mai, tanto meno in questo caso. Il governo italiano avrebbe dovuto avvertire il ministro della giustizia francese che Giorgio Pietrostefani non ha una condanna per terrorismo e così anche televisioni e giornali avrebbero evitato errori di classificazione.
Per finire. Se davvero si volesse chiudere una pagina di dolore e sangue, sarebbe il caso che il Presidente Mattarella pensasse alla concessione di qualche grazia per persone che sono in carcere da più di quaranta anni come accade a Cesare Di Lenardo, torturato e condannato per il sequestro del generale americano James Dozier.

Quando ero sottosegretario alla Giustizia il Presidente Scalfaro, democristiano e conservatore, concesse alcune grazie a condannati per fatti di terrorismo. Ebbene dopo venti anni sembra che in Italia la storia vada indietro. Un orologio che scandisce riletture e revisionismi incomprensibili. Come nella Comune di Parigi, dovremmo rompere questi orologi impazziti e crudeli.

* Fonte: Franco Corleone, il manifesto[1]

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