Chiamatela Palestina
In questi giorni di maggio riaffiora la questione palestinese. Si riaccendono i riflettori sul Medio Oriente e si riparla di West Bank e Striscia di Gaza. Quando sento parlare di West Bank e Striscia di Gaza come due entità distinte mi fa capire quanto ancora siamo lontani nel percepire un’unica terra e un unico popolo. La vita di questo popolo è praticamente condizionata da una politica, da parte di Israele, che sempre più aumenta l’oppressione sui palestinesi.
La vita di un palestinese che vive in West Bank è limitata dalla presenza di checkpoint che non permette a loro di potersi muovere liberamente sul proprio territorio. Spesso la notte avvengono raid dell’esercito israeliano che irrompono nelle loro case mettendo a soqquadro tutto e spesso portandosi via bendato e legato un membro della famiglia. I beduini palestinesi subiscono attacchi dai coloni israeliani dove danno fuoco agli alberi d’ulivo, distruggono raccolti e pozzi d’acqua perché sperano così che i palestinesi abbandonino la loro terra. In questi ultimi anni sono stati abbattuti quartieri palestinesi in diverse parti della Palestina con l’intento di poter costruire nuovi insediamenti ebraici.
Diversa la situazione nella Striscia di Gaza, una prigione a cielo aperto dove vivono più di un milione di palestinesi. Israele, che mantiene sulla striscia un blocco insieme all’Egitto, controlla lo spazio aereo e marittimo della striscia, sei dei sette attraversamenti della frontiera terrestre e il movimento di merci e persone dentro e fuori dalla Striscia. Chi vive in questo lembo di terra sa che se sei un pescatore ogni volta che uscirai in mare verrai attaccato dalla marina israeliana, se sei un contadino e hai il tuo raccolto vicino alla frontiera rischi di beccarti una pallottola dai soldati israeliani di vedetta. Chi vive nella Striscia di Gaza è soggetto anche ad incursioni aerei israeliani e bombardamenti (gli ultimi, prima di questi giorni di maggio, sono stati il 16 e 24 aprile). Riguardo Gerusalemme negli ultimi anni, attraverso trasformazioni urbanistiche ed insediamenti ebraici nella zona Est, è aumentata la presenza della popolazione israeliana nei quartieri arabi isolando in questo modo la popolazione palestinese dal resto della West Bank .
Quello che sta accadendo nel quartiere di Sheikh Jarrah e cioè lo sgombero dalle loro case di 28 famiglie palestinesi, non è altro che una politica che va avanti da diverso tempo. Netanyahu, che ha bisogno per poter governare dell’appoggio dell’estrema destra israeliana in quanto le ultime elezioni (4 nel giro di 2 anni) non gli permettono di avere la maggioranza assoluta nel parlamento e rischia un processo in quanto indagato per corruzione, frode e abuso d’ufficio per modifiche legislative effettuate al fine di favorire aziende di comunicazione ed importanti uomini d’affari, sta accelerando sia gli sgomberi delle famiglie palestinesi da Gerusalemme est che la costruzione di nuovi insediamenti israeliani in West Bank.
L’antefatto che riguarda Sheik Jarrad è che un’immobiliare israeliana ha comprato, pagando molti soldi, le carte secondo le quali, prima del 1948, i terreni dove ora sorge il quartiere palestinese appartenevano a delle famiglie ebree e quindi ne richiedono la restituzione. Tale politica non è però riconosciuta ai palestinesi, che si sono visti portare via le loro case e terreni dal 1948 in poi.
Ad esasperare ulteriormente gli animi dei palestinesi sono state le chiusure della Porta di Damasco, luogo di ritrovo per i giovani palestinesi, la chiusura della spianata alla moschea di Al Aqsa, il divieto ai religiosi di raggiungere i luoghi di culto nel periodo del Ramadan e infine il divieto ai palestinesi di Gerusalemme est di poter partecipare al voto del nuovo Presidente palestinese adducendo come scusa il Covid e con il rischio di dover rimandare di nuovo le votazioni in Palestina ( è dal 2006 che i palestinesi non riescono ad andare a votare).
Sono iniziate le proteste dei palestinesi in difesa dei loro diritti e contro lo sgombero di Sheik Jarrah. Vi è stata un’escalation di violenze ed attacchi da parte non solo dell’esercito israeliano ma anche da parte di bande di estrema destra israeliana. L’attacco all’interno della moschea contro i fedeli in preghiera con lacrimogeni, pallottole sia di gomma che vere e bombe assordanti, che ha provocato centinaia di feriti, ha poi scatenato la rabbia dei palestinesi.
L’intera Palestina è scesa in piazza portando a nuovi attacchi e arresti da parte dell’esercito israeliano in tutta la West Bank. Oltre a tutto ciò, sono ripresi i bombardamenti sulla Striscia di Gaza con risposta, da parte di Hamas, di missili contro Israele. Netanyahu ha richiamato 5000 riservisti, inviati al confine della Striscia di Gaza bulldozer e artiglieria pesante per preparare un’invasione via terra Striscia.
Se la comunità internazionale non interverrà al più presto, la Palestina continuerà a essere impunemente bagnata dal sangue del suo popolo.
* Stefania Ciccillo, dirittiglobali.it
Foto di hosny salah da Pixabay
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