by Marco Santopadre * | 21 Aprile 2021 10:08
Che le fusioni comportino dolorose ristrutturazioni della pianta organica non è una novità. Ma quella annunciata dalla direzione di CaixaBank, dopo l’assorbimento di Bankia, è un vero bagno di sangue.
Il piano di licenziamenti partorito dal management prevede infatti il taglio di 8.291 dipendenti su un totale di 44.400, pari al 19% dell’organico complessivo, e la chiusura del 27% delle filiali, 1.534 sulle 5.639 esistenti.
La drastica ristrutturazione, secondo l’azienda, sarebbe necessaria a causa dei tassi negativi almeno fino al 2025, dell’evoluzione verso il digitale della clientela e ovviamente dell’accorpamento di funzioni e sedi. Se i numeri annunciati fossero confermati, quello deciso costituirebbe il licenziamento di massa più consistente nella storia della finanza spagnola e il terzo in assoluto di sempre, dopo quelli attuati da Seat e Telefónica negli anni ‘90.
Nonostante ci si aspettasse il taglio soprattutto dei dipendenti più anziani, il piano prevede che solo un 50% degli esuberi riguardi gli over50, per non perdere troppi impiegati esperti. Il gruppo ha affermato di non voler ricorrere ai prepensionamenti, ma che tenterà di ridurre il personale «in eccesso» sulla base della volontarietà e della meritocrazia. CaixaBank promette inoltre di avviare un programma di ricollocazione per aiutare i dipendenti licenziati a trovare una nuova occupazione.
I sindacati sono mobilitati per ridurre al minimo il numero degli esuberi, e chiedono l’intervento del governo. Ugt e Cc.oo puntano il dito sul fatto che il nuovo gigante della finanza spagnola, guidato da José Ignacio Goirigolzarri, vanta un attivo di 660 miliardi e non può quindi addurre motivazioni economiche per quella che alcuni media definiscono «ecatombe occupazionale». La verità, accusano le organizzazioni dei lavoratori, è che il gruppo vuole scaricare tutti i costi della fusione sui dipendenti per non intaccare i profitti.
L’assorbimento di Bankia ha mandato definitivamente in fumo la possibilità, da parte dello Stato, di recuperare 17 dei 24 miliardi di fondi pubblici iniettati dal 2012 nelle casse dell’Istituto di credito allora presieduto dal popolare Rodrigo Rato, affondato dai titoli tossici. Se dopo il rescate il 61% di Bankia – nata nel 2010 dalla fusione di sette casse di risparmio – era diventato di proprietà pubblica, la fusione ha ridotto questa quota al 17%, privando di ogni potere di controllo il Frob (Fondo per la ristrutturazione bancaria ordinata).
La ministra delle Finanze, la socialista María Jesús Montero, si è detta «dispiaciuta» del fatto che il nuovo gruppo bancario abbia annunciato un numero così alto di licenziamenti proprio mentre l’esecutivo compie «sforzi titanici» per evitare che la crisi provocata dalla pandemia provochi una valanga di disoccupati. Ma venerdì il Bbva, altro gigante bancario iberico, potrebbe quantificare in 3.000 i dipendenti da espellere. In totale, nel 2021 il solo settore bancario spagnolo perderà 15.000 unità.
* Fonte:
il manifesto[1]
ph by Jordiferrer, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons
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