by Stefano Mauro * | 9 Aprile 2021 17:27
«Il capo di stato maggiore della gendarmeria del Fronte Polisario, Addah Al-Bendir, è stato ucciso da un attacco di droni marocchini a Tifariti, nella zona liberata del Sahara Occidentale», secondo quanto riporta sul suo profilo facebook Mustafa Salma, ex capo della polizia del Fronte Polisario. Le circostanze di questa morte rimangono poco chiare, tuttavia, alcune fonti di stampa algerine riportano la notizia di «un attacco di droni nella regione di Touizgui, nella Repubblica araba democratica saharawi (Rasd)», che indicherebbero per la prima volta, l’utilizzo di droni da parte dell’esercito marocchino.
UNA NOVITÀ E UNA CONFERMA degli scontri che vedono contrapposti, dallo scorso novembre, le Forze armate marocchine e l’Esercito di liberazione popolare saharawi (Elps), nonostante il tentativo da parte del Marocco di ostacolare la diffusione di informazioni riguardo alle sue reali perdite, con il divieto di ingresso per operatori umanitari e giornalisti nei territori occupati e nelle zone di guerra.
Da parte sua, il forum Far-Maroc – una pagina Facebook non ufficiale dell’esercito marocchino – ha affermato che «diversi elementi di spicco del Polisario, tra cui il capo di stato maggiore della gendarmeria, sono morti dopo un’operazione dell’aviazione marocchina». Sempre secondo Far-Maroc il vero obiettivo dell’attacco aereo sarebbe stato il segretario generale del Fronte Polisario, Brahim Ghali, «sopravvissuto al bombardamento».
Notizia smentita categoricamente dal Fronte Polisario in una nota in cui si afferma che «Addah Al-Bendir aveva appena partecipato a un attacco nella zona di Bir Lehlou contro il muro di sabbia che separa i territori occupati (per oltre 2mila chilometri, ndr). Poche ore dopo un drone lo ha ucciso nella regione di Tifariti».
DOPO QUASI TRENT’ANNI di conflitto “congelato”, le ostilità tra il Polisario e il Marocco sono riprese a metà novembre dopo la violazione degli accordi sul cessate il fuoco e il dispiegamento di truppe marocchine nella zona cuscinetto di Guerguerat, bloccata pacificamente dagli attivisti saharawi perché utilizzata «illegalmente da Rabat come rotta commerciale verso l’Africa occidentale».
Sono ormai più di 150 giorni che l’Elps continua a colpire le basi militari marocchine lungo il confine che separa i territori occupati da quelli liberati della Rasd, anche se Rabat non ha mai fornito bilanci sugli scontri.
In una recente intervista Moulay Zeine Sidi Mohamed, direttore dell’ufficio antimine della Rasd, ha dichiarato l’intenzione del Polisario di volersi rivolgere alla Corte penale internazionale (Cpi) visto che «il Marocco è uno dei pochi paesi che non ha ancora ratificato la Convenzione di Ottawa sul divieto delle mine antiuomo che, fino al novembre 2020, hanno causato almeno 3mila vittime, prevalentemente civili, nella zona vicino al muro della vergogna».
Difficile anche la situazione dei saharawi nei territori occupati visto che «molestie, atti barbari, uso eccessivo della forza, arresti arbitrari, torture e rapimenti fanno parte della vita quotidiana dei civili», come denunciato dall’Associazione internazionale dei giuristi democratici (Aijd).
Dall’inizio del conflitto i numerosi attivisti saharawi che quotidianamente protestano contro l’occupazione sono sottoposti a violenze sistematiche nelle principali città (Laayoune, Dakhla, Smara e Boujdour) attraverso arresti, rapimenti e omicidi. Come nel caso di Mohamed Salem Ayad Lefkir, prelevato dalle forze di sicurezza marocchine e ritrovato dai familiari nell’obitorio dell’ospedale di Laayoune lo scorso gennaio.
* Fonte: Stefano Mauro, il manifesto[1]
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