No Tav. Dopo lo sgombero di San Didero, una notte di scontri per i nuovi cantieri Telt

No Tav. Dopo lo sgombero di San Didero, una notte di scontri per i nuovi cantieri Telt

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Il messaggio che è incominciato a girare nella serata di lunedì aveva il sapore di déjà vu: «Attenzione! Pare che lo sgombero di San Didero sia tra poco. Nella ditta che ha vinto l’appalto ci sono camion carichi di recinzioni e l’ingresso della A32 è pieno di camionette. Chi può raggiunga il presidio subito!».

Ancora una volta di notte, ancora una volta una colonna di lampeggianti. Questa volta a San Didero nella bassa valle, dove Telt, la società che si occupa della sezione transfrontaliera della Torino-Lione, vuole trasferire l’autoporto di Susa, per fare spazio là a nuovi cantieri del Tav (in particolare quello della faraonica stazione internazionale) e riversare qui una nuova colata di cemento: un’operazione da circa 49 milioni di euro. Questi terreni sono stati occupati da tempo dai No Tav con un presidio che ha recuperato un edificio abbandonato da quarant’anni (quando già allora doveva diventare un autoporto).

Il «fortino» è stato accerchiato, nella notte tra lunedì e martedì, dalle forze di polizia che hanno bloccato la statale del Moncenisio, per consentire all’azienda incaricata da Telt di recintare l’intera zona. La resistenza degli attivisti valsusini non si è, però, fatta attendere, con barricate che sono state date alle fiamme. Le forze dell’ordine per avanzare si sono così fatte largo con un fitto lancio di lacrimogeni, «anche ad altezza uomo» denunciano i manifestanti. La mobilitazione è continuata per tutta la giornata di ieri con scontri, cariche e tensioni. Cinque attivisti si sono barricati sul tetto della struttura abbandonata riconvertita a presidio e non sono intenzionati a scendere. Si dicono «determinati a resistere».

«È davvero inaccettabile – ha detto a caldo Sergio Lampo, sindaco di San Didero – che a fronte della grave emergenza sanitaria che tutto il Paese sta vivendo, a cui si aggiunge la mancanza di fondi a sostegno di chi ha perso il lavoro o ha dovuto chiudere la propria attività, il governo decida di investire ingenti somme di denaro per spostare oltre mille agenti delle forze dell’ordine a difendere Telt, il cui unico scopo è quello di accedere ai nuovi fondi europei, devastando la Valle, e condannando a malattie respiratorie e cardiovascolari l’intera popolazione». I rischi li denuncia il movimento: «Siamo accorsi per difendere dalle ruspe l’unico polmone verde della bassa valle, che con arroganza vogliono radere al suolo. Inoltre, è importante ricordare che il terreno in questione assorbe da circa quarant’anni tutte le diossine dell’acciaieria vicina, pertanto quegli scavi porteranno in circolo materiali inquinanti ed estremamente nocivi per tutte e tutti».

È stata una nuova notte della democrazia per i sindaci della Valsusa. «Presentarsi di notte attuando un blitz senza avere informato le amministrazioni non può accadere in una democrazia. Se la gente protesta c’è un motivo, militarizzare un territorio per anni per fare un’opera pubblica non è accettabile», ha sottolineato il presidente della comunità montana Pacifico Banchieri. Si sono espressi i sindaci di San Didero, Bruzolo, Bussoleno, Mattie, San Giorio, Avigliana, Almese, Villar Focchiardo, che si dicono unanimemente delusi dallo Stato: «È stato bloccato tutto, strade, alcune attività commerciali, senza che nessuno ci dicesse nulla». Emilio Chiaberto, primo cittadino di Villar Forchiardo, precisa: «Non si può andare avanti ad aprire cantieri con la forza, come sindaci non siamo mai stati considerati». E per il sindaco di Avigliana Andrea Archinà è «un fallimento del processo democratico».

* Fonte: Mauro Ravarino, il manifesto

 



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