Libertà per Patrick Zaki: il governo italiano si dice non coinvolto
Un secchiello di cubetti di ghiaccio. Lanciato contro oltre 200.000 persone che avevano sottoscritto la proposta. Contro i 208 senatori che avevano votato a favore, tra cui Liliana Segre che era venuta appositamente a Roma per proteggere simbolicamente quello che ha chiamato «suo nipote». Contro quel nome e cognome scritto nell’ordine del giorno e pronunciato tante volte durante il dibattito parlamentare.
Che la proposta di conferire la cittadinanza italiana a Patrick Zaki fosse destinata a un cammino lungo e tortuoso lo si sapeva. Le mani avanti le aveva messe lo stesso governo, durante il dibattito parlamentare, manifestando cautela circa il rischio che tale procedura avrebbe potuto avere conseguenze negative sul piano giudiziario per Patrick. Ma che dopo 48 ore il presidente del Consiglio Mario Draghi avrebbe affermato che «è un’iniziativa parlamentare» nella quale «al momento il governo non è coinvolto», questo non ce lo aspettavano.
Ricordiamolo: un atto di indirizzo votato dal parlamento obbliga il governo ad agire. Che il capo del governo abbia dichiarato che non è coinvolto lo trovo un fatto grave.
Non che affidare al governo il compito d’istruire la procedura per la cittadinanza italiana avrebbe posto termine come in un incantesimo alla sofferenza di Patrick, che sta languendo in una prigione sovraffollata e sporca in cui il Covid-19 è entrato e ha fatto vittime.
Ma quel «non coinvolgimento» rischia di porre fine anche al solo tentativo.
Così, il voto del Senato di giovedì rischia di essere una luminosa parentesi, uno sussulto etico circondato da due atti del governo: «coinvolto» sabato 10 nella partenza da La Spezia della seconda fregata militare destinata all’Egitto, «non coinvolto» neanche una settimana dopo su una questione cruciale di diritti umani.
Poiché la maggioranza che ha approvato l’ordine del giorno per Patrick Zaki coincide esattamente con la maggioranza che sostiene e compone il governo, c’è ancora da sperare che sia messa fine a questa anomalia: di un parlamento che parla di diritti umani e di un governo, in larghissima parte il suo, che non se ne sente coinvolto.
* Riccardo Noury, Portavoce di Amnesty International-Italia, Fonte: il manifesto
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