La scrittrice Krisztina Tóth: «In Ungheria sono considerata traditrice della patria»
«Una rivista mi ha chiesto parere sulle letture da rendere obbligatorie o no a scuola. Ho espresso dissenso su un libro con messaggi discutibili sul ruolo delle donne. Non immaginavo un esito simile. Rappresento con le mie opere questo paese da 25 anni ai festival letterari di mezzo mondo. Ora ricevo insulti e minacce da un sistema dell’odio collettivo che non si placa»
Sotto il governo di Viktor Orbán è sempre un rischio criticare i riferimenti e i modelli indicati dal potere o mettere in dubbio il loro valore. Ne sa qualcosa Krisztina Tóth, poeta e scrittrice, tra le autrici più interessanti e originali del panorama letterario ungherese contemporaneo. Da circa due mesi Tóth è al centro di una campagna denigratoria per il solo fatto di aver messo in discussione una delle letture scolastiche obbligatorie che, a suo giudizio, insisteva su una visione della donna degna delle società patriarcali più chiuse. Questa sua valutazione l’ha esposta ad una gogna mediatica e ad attacchi quotidiani per le strade di Budapest e sui mezzi pubblici, da parte di suoi concittadini convinti che la scrittrice abbia offeso l’intero paese. Krisztina racconta di una vera e propria persecuzione e di una campagna che ha comportato la cancellazione di incontri che avrebbe dovuto tenere nelle scuole, e di atteggiamenti ostili arrivati anche a coinvolgere la figlia adottiva, di origine Rom, che la madre ha dovuto trasferire in un altro istituto scolastico in modo tutt’altro che agevole. La propaganda martellante del sistema incoraggia reazioni d’odio, a livello popolare, contro quelli che vengono accusati di coltivare sentimenti antiungheresi per aver messo in dubbio i valori esaltati dal premier e dai suoi collaboratori. Cioè da quel governo che non ha voluto ratificare la Convenzione di Istanbul in quanto, a suo avviso, promuoverebbe «ideologie di genere distruttive» e sarebbe contrario alla legge ungherese e alle posizioni dell’esecutivo. Già incontrata dal manifesto per un’intervista nel giugno dell’anno scorso (per le pagine culturali, ndr), in occasione dell’uscita del suo Pixel (ETS, traduzione in italiano di Mariarosaria Sciglitano, tra le altre sue opere più significative, tradotte in diverse lingue, ma non ancora in italiano, Vonalkód, 2006 – Code barres, Gallimard, nella versione francese, 2014, e Akvárium, 2013 – Aquarium, Nischen Verlag, 2015, nella traduzione tedesca), la ritroviamo oggi per parlare brevemente di quanto le sta accadendo.
Come sono iniziati questi attacchi contro di lei e qual è la motivazione di fondo?
L’11 febbraio ho risposto a una delle domande rivolte dalla rivista «Könyves Magazine» (una rivista letteraria, ndr) a diversi scrittori. Mi si chiedeva quale lettura avrei escluso da quelle scelte per la scuola dell’obbligo, e quale invece avrei inserito. Per quel che riguarda il primo caso ho indicato il romanzo L’uomo d’oro (Arany ember) di Mór Jókai, e ho spiegato perché: in esso sia l’amante che la moglie incarnano l’ideale femminile le cui virtù principali sono il dono di sé e l’umiltà. Un settimanale ha evidenziato solo questa risposta e l’ha pubblicata, attribuendomi l’intenzione di attaccare questo scrittore, che è un classico della letteratura ungherese, e di volerlo bandire dai programmi didattici. Invece io mi limitavo a dire che non l’avrei reso obbligatorio. A quel punto i media governativi si sono messi a sbraitare che volevo vietare un classico della nostra letteratura e ad apostrofarmi in modo oltraggioso: «Un’idiota! Ma chi è lei per dire queste cose?!»
Si è così scatenata una reazione d’odio nei miei confronti, ho cominciato a ricevere centinaia di messaggi offensivi e minacciosi e a trovare la mia cassetta delle lettere piena di escrementi di cane. Gli «esperti» pagati dai media governativi discutono, nei programmi televisivi e radiofonici, di quanto io sia incompetente e stupida. Ora sono anche diventata traditrice della patria. È stato pure detto che ho «offeso l’intero popolo ungherese». Non è eccessivo? L’intero popolo ungherese? Ma se io non sono nessuno, come hanno detto i miei detrattori, come avrei potuto fare una cosa del genere? In questo paese è di moda definire gli scrittori traditori della patria; ora anch’io sono stata inclusa in questa categoria.
Come ha reagito a questa campagna denigratoria e alle offese subite?
All’inizio dello scandalo mi sono espressa brevemente sulla necessità di rivedere la questione in un’ottica razionale, ma è stato inutile. Ai media governativi non interessa placare gli animi, ma casomai trovare dei bersagli da offrire all’odio collettivo. Naturalmente tutto questo non ha niente a che vedere con lo scrittore Mór Jókai o con la letteratura ungherese, ma col fatto che, secondo questo sistema di potere, bisogna sempre odiare qualcuno, ci vuole sempre un nemico, qualcuno contro il quale scatenare le masse.
Sembra proprio che il clima creato dal sistema di potere guidato da Viktor Orbán favorisca fenomeni di questo genere…
Sì, il governo solleva questi scandali ad hoc, distorce le dichiarazioni delle persone, il senso delle loro parole, e non esita a passare alle calunnie. In questo modo è possibile distogliere l’attenzione della gente dai veri problemi: quelli aventi a che fare con le criticità della pandemia e della sua gestione, con l’aumento della povertà, cioè con quelli che sono i veri problemi che affliggono il paese. I media governativi esaltano la bellezza degli abiti e dei gioielli delle mogli degli oligarchi, mentre i poeti contemporanei vengono costantemente umiliati. Tutto ciò sarà un giorno la testimonianza documentata di quest’epoca oscura. Io rappresento con le mie opere questo paese da venticinque anni ai festival letterari di mezzo mondo. Bisognerebbe esserne orgogliosi.
Chi solidarizza con lei in Ungheria e all’estero? Quel che resta dell’informazione libera nel paese parla di questa vicenda?
Ne ho potuto parlare a Klubrádió che, recentemente, è stata privata della sua frequenza. L’Accademia di Lettere e Arte Széchenyi, la Società degli Scrittori, gli scrittori di Graz, la Sorbona, il dipartimento di Studi di Genere dell’Università di Praga, Gallimard e gli altri miei editori stranieri sono solidali con me e protestano contro questa campagna d’odio. Ciò ha alimentato la rabbia dei media governativi che sbraitano da cinque settimane senza stancarsi e sferrano sempre nuovi attacchi contro di me.
Come vede l’attuale situazione delle donne in Ungheria?
Questa è una domanda molto complessa a cui non tenterei nemmeno di dare una risposta esaustiva, ma è sicuro che negli ultimi anni la condizione della donna, in Ungheria, è peggiorata di molto a livello di mercato del lavoro e di ruolo sociale. La propaganda governativa ufficiale, conservatrice, promuove l’ideale della donna che fa molti figli e sta a casa, e il movimento MeToo ha mostrato quanto sia patriarcale e conservatrice questa società, e quanto si tenda alla colpevolizzazione della vittima. Anche l’attuale campagna d’odio spesso usa stereotipi sessisti.
Ora cosa pensa di fare? Scriverà di quanto le sta accadendo?
Non credo. Non ho niente a che fare con tutto questo. Si tratta di qualcosa che mi succede solo perché vivo qui. Ho nelle mani della materia prima, voglio lavorarla. Voglio poter scrivere tranquillamente. Se me lo lasciano fare.
* Fonte: Massimo Congiu, il manifesto
ph by Bea Bulla, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons
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