by Stefano Mauro * | 27 Aprile 2021 10:22
«Tempi duri per la libertà di espressione e di stampa in Marocco, il re e il suo entourage hanno un serio problema con la libertà di informazione», ha di recente affermato lo storico franco-marocchino Maâti Monjib, rilasciato su cauzione a fine marzo, dopo tre mesi di detenzione preventiva per «riciclaggio di denaro» e 19 giorni di sciopero della fame.
Dallo scorso 14 aprile sono oltre 120 i giornalisti che hanno firmato una petizione in cui esprimono la loro «grande preoccupazione» per la sorte di Omar Radi e Soulaiman Raissouni, denunciando la «reiterata violazione della presunzione di innocenza» e «l’impunità di cui gode la stampa per diffamazione in Marocco».
Omar Radi e Soulaiman Raissouni, due giornalisti che si sono distinti per il loro attivismo e le loro critiche nei confronti del governo marocchino, hanno iniziato uno sciopero della fame, lo scorso 9 aprile, nella prigione di Oukacha a Casablanca, dove sono incarcerati in detenzione preventiva rispettivamente da otto e dieci mesi.
Entrambi chiedono «un rilascio provvisorio e un processo equo», dopo che le loro udienze sono state continuamente rinviate dalla giustizia marocchina.
In queste settimane – l’ultima lo scorso sabato davanti al parlamento di Rabat – sono state organizzate numerose manifestazioni di sostegno da parte degli attivisti che richiedono la loro liberazione urgente «visto l’aggravarsi delle loro condizioni di salute».
In un recente appello Human Rights Watch (Hrw), Amnesty International (Ai) e Reporters sans Frontières (Rsf) denunciano «numerose incarcerazioni di attivisti», spesso con l’utilizzo della «stampa diffamatoria» – pubblicazioni legate alle informazioni fornite dai servizi di sicurezza – che ultimamente hanno avuto un ruolo chiave per diffamare e incarcerare numerosi attivisti e giornalisti, attraverso informazioni relative a questioni morali, reali o presunte.
Soulaiman Raissouni, editorialista e redattore capo del quotidiano Akhbar Al Yaoum – quotidiano online recentemente chiuso per fallimento e spesso bersaglio delle autorità giudiziarie perché considerato una delle ultime roccaforti della stampa libera in Marocco – è stato infatti perseguito per «aggressione, violenza e rapimento di un uomo» nel 2018, a seguito di un post anonimo su Facebook.
Omar Radi, giornalista noto per il suo attivismo riguardo a disuguaglianze, corruzione e violazioni dei diritti umani in Marocco, è stato arrestato il 29 luglio 2020, con accuse «di spionaggio e pericolo per la sicurezza dello Stato» (a causa di alcune ricerche sulla corruzione in Marocco condotte per ong internazionali) e «per stupro e violenza sessuale».
«Affermiamo il dovere imperativo di indagare attentamente sulle accuse di violenza sessuale e di ritenere responsabili gli autori – afferma la dichiarazione congiunta di Hrw, Ai e Rsf – Siamo però preoccupati che l’accusa nei confronti dei due giornalisti arrivi in un contesto in cui diversi politici, attivisti e giornalisti indipendenti sono stati arrestati, processati o incarcerati con accuse discutibili di violenza sessuale negli ultimi anni».
Anche associazioni come Attac-Maroc, l’Associazione marocchina per i diritti umani (Amdh) e Khmissa, collettivo femminista marocchino che difende i diritti delle donne e le libertà politiche, hanno recentemente denunciato «la strumentalizzazione, da parte delle autorità marocchine, delle accuse di crimini sessuali, anche quando si tratta di rapporti consensuali, allo scopo di screditare o imprigionare i dissidenti».
Nel suo rapporto annuale, Amnesty denuncia l’utilizzo «della giustizia e di accuse diffamatorie per almeno una ventina di giornalisti e altrettanti attivisti e blogger» in questi ultimi due anni.
Lo stesso report, inoltre, indica la continua violazione dei diritti umani e l’utilizzo della tortura, fisica e psicologica, nei confronti degli attivisti saharawi incarcerati nelle prigioni marocchine o di Nasser Zefzafi e Nabil Ahamjikdi, leader del movimento di protesta del Rif.
* Fonte: Stefano Mauro, il manifesto[1]
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