by Luca Martinelli * | 23 Aprile 2021 9:20
Joe Biden ci prova: il summit virtuale sul clima organizzato dagli Stati Uniti, iniziato ieri, nella Giornata della Terra, con la partecipazione di 40 leader mondiali, tra cui quelli dei 17 Paesi responsabili dell’80 per cento delle emissioni, è il tentativo di riprendere un discorso interrotto.
«Dobbiamo agire adesso, è un imperativo morale ed economico e sono sicuro che possiamo farlo e che lo faremo» ha detto l’uomo che ha preso il posto del negazionista Donald Trump alla Casa Bianca, aprendo l’incontro. L’uomo che ha scelto di riportare gli Stati Uniti nella comunità globale, rientrando nell’Accordo di Parigi, si è impegnato a ridurre le emissioni di gas serra degli Stati Uniti «della metà» entro il 2030, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
Lo ha fatto sottolineando le «straordinarie opportunità economiche» che comportano le misure per la lotta al cambiamento climatico nel mondo. «Gli Usa – ha detto Biden – sono decisi ad agire: non solo il governo federale, ma anche gli Stati, le imprese, i lavoratori. Vedo l’opportunità di creare milioni di posti di lavoro e ben pagati».
Porre l’accento sugli effetti dei cambiamenti climatici sull’economia è necessario: Swiss Re, uno dei maggiori fornitori mondiali di assicurazioni, ha stimato che il riscaldamento globale potrebbe ridurre dall’11% al 14% la produzione economica mondiale entro il 2050, con un costo totale di 23mila miliardi.
Secondo la previsione, diffusa propria alla vigila del summit promosso da Biden e ripresa dal New York Times, se il mondo riuscirà a mantenere l’aumento medio della temperatura a meno di due gradi Celsius sopra i livelli pre industriali – sarebbe l’obiettivo dell’Accordo sottoscritto a Parigi – le perdite economiche saranno marginali e la riduzione del Pil non supererà il 5 per cento, ma gli attuali livelli di emissioni sarebbero ben lontani da questo target: la temperatura globale aumenterà probabilmente di 2,6 gradi entro il 2050, in base alle traiettorie odierne, e in questo caso l’economia degli Stati Uniti sarà più piccola del 7%, mentre altri ricchi Paesi occidentali, come Canada, Gran Bretagna e Francia, potrebbero perdere tra il 6% e il 10% della loro potenziale produzione economica.
Per le nazioni più povere, che tendono ad essere più esposte all’aumento della temperatura ma hanno minori capacità di adattare le loro infrastrutture ed economie, le conseguenze sarebbero ben peggiori: anche se l’incremento della temperatura globale fosse mantenuta a 2 gradi Celsius, Malesia, Filippine e Tailandia avrebbero una crescita economica del 20% inferiore, secondo Swiss Re.
È di fronte a questi scenari che le promesse e le parole dei tanti capi di Stato e di governo che partecipano al summit suonano stonate, anche perché si procede in ordine sparso: il presidente cinese, Xi Jinping, ha ribadito l’impegno di Pechino di raggiungere la neutralità carbonica nel 2060; secondo il premier britannico, Boris Johnson, il presidente Joe Biden sta posizionando gli Usa «in prima linea» nella lotta al cambiamento climatico e il nuovo impegno degli Stati Uniti è un fattore che «segna una svolta»; uno come Jair Bolsonaro, il presidente brasiliano nemico numero uno dell’Amazzonia, è arrivato a dire di esser pronto «a collaborare con la comunità internazionale per raggiungere gli impegni fissati dall’Agenda per il clima»; il russo Putin è arrivato con trent’anni di ritardo a proporre che tutti i Paesi si uniscano nella ricerca scientifica sul cambiamento climatico, una minaccia comune. E ancora: «L’Europa sarà il primo continente climaticamente neutro.
Ma non vuole essere l’unico. Impegniamoci tutti per ambiziose riduzioni delle emissioni entro il 2030, verso lo zero netto entro il 2050» ha detto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen; e il nostro Mario Draghi ha ringraziato il presidente Biden: «C’è stato un cambio totale sull’ambiente, confidiamo di vincere insieme la sfida sul clima».
Per farlo davvero, in vista del prossimo vertice Onu di novembre, possono prendere appunti dal discorso del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, il quale – sottolineando «siamo sull’orlo dell’abisso» – ha ribadito che è giunto il momento di «mettere fine alla guerra contro la natura», chiedendo misure concrete perché Madre Natura non aspetta. Guterres sa che abbiamo di fronte un decennio, l’ultimo, di trasformazione possibile.
E che tutti i Paesi dovrebbero essere più ambiziosi: «Solo il 18-24% della spesa per la ripresa della pandemia dovrebbe contribuire a ridurre le emissioni e l’inquinamento atmosferico» ha sottolineato, aggiungendo l’esigenza di «porre fine ai sussidi per i combustibili fossili, di fermare il finanziamento del carbone e la costruzione di nuove centrali elettriche a carbone, di eliminare gradualmente il carbone entro il 2030 nei Paesi più ricchi e entro il 2040 ovunque».
Richiesta fin troppo timide, probabilmente, per i giovani di Fridays For Future: Greta Thunberg ha attaccato il consesso dei presidenti ribadendo che «l’era dei combustibili fossili è finita», sottinteso già, ora. Con lei ha preso parola, in occasione dell’Earth Day, un’altra giovane donna, la diciottenne messicano-cilena Xiye Bastida: «Siamo nel 2021 e il fatto che siamo ancora qui a parlare dei sussidi ai combustibili fossili è una vergogna, significa che non abbiamo capito l’emergenza climatica».
«Saremo noi a decidere come sarete ricordati. Quindi il consiglio che vi rivolgo è quello di scegliere con saggezza, sulla base della scienza e del buon senso». Servono però «cambiamenti drastici, siamo decenni indietro». I lavori continuano oggi, 23 aprile.
* Fonte:
il manifesto[1]
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