by Marina Catucci * | 31 Marzo 2021 10:11
NEW YORK. Durante una conferenza stampa sulla risposta del governo al Covid-19 e sugli sforzi per vaccinare tutto il Paese nel più breve tempo possibile, il presidente Biden ha annunciato che entro le prossime 3 settimane il 90% degli adulti americani avrà accesso al vaccino contro il coronavirus, senza limitazioni sanitarie o anagrafiche e con punti vaccinali raggiungibili nel raggio di cinque miglia (8km) dai luoghi di residenza, in quanto le farmacie che distribuiranno il vaccino balzano da 27.000 a 40.000, e sono in allestimento una dozzina di nuovi siti di vaccinazione di massa entro il 19 aprile.
Questo annuncio di Biden ha anticipato di poco quello dello Stato di New York dove, da martedì, l’accesso al vaccino è stato esteso a chiunque abbia più di 30 anni e dal 6 aprile lo sarà a chiunque ne ha più di 16, mentre già da ieri gli ultra 75enni e i loro accompagnatori non hanno più bisogno di appuntamento per vaccinarsi, ma possono semplicemente presentarsi ai centri di distribuzione di massa e «arrotolare la manica», come è stato trionfalmente sintetizzato nell’annuncio.
Questa ondata di buone notizie, però, riguarda tutta la popolazione Usa tranne quella carceraria in quanto nelle prigioni la situazione è ben diversa tanto che una giudice della Corte Suprema statale di New York, Alison Tuitt, ha imposto di vaccinare tutti i detenuti dello Stato, cominciando subito.
Solo nell’ultimo mese a New York almeno 1.100 detenuti sono risultati positivi al coronavirus e 5 sono morti, citando questi dati la giudice ha scritto nella sentenza che escludere arbitrariamente i detenuti dalla distribuzione dei vaccini è «ingiusto e un abuso di potere».
I funzionari «hanno distinto in modo irrazionale tra le persone incarcerate e le persone che vivono in ogni altro tipo di struttura di congregazione per adulti – ha continuato Tuitt – ponendo a grande rischio la vita delle persone incarcerate durante questa pandemia. Non ci sono scuse accettabili per questa deliberata esclusione. Sotto tutti gli aspetti materiali, gli adulti incarcerati affrontano lo stesso accresciuto rischio di infezione, malattia grave e morte, come le persone che vivono in altri contesti congregati, e ancora di più dei minori nei centri di detenzione, dove le persone hanno avuto la priorità per il vaccino».
L’ordine imposto da Tuitt fa di New York uno dei pochi Stati che vaccinano la popolazione carceraria, insieme a New Jersey, Massachusetts ed Oregon, pochi, nonostante gli epidemiologi e gli specialisti in malattie infettive abbiano ampiamente concordato, anche durante le prime fasi della campagna vaccinale, quando l’offerta era più limitata, che le persone nelle strutture correzionali dovrebbero rientrare nelle categorie di chi ha diritto al vaccino, a causa dell’alto rischio di contrarre e diffondere il virus. Oltre a ciò un numero sproporzionato di detenuti è afroamericano e ispanico, gruppi che più di altri sono stati duramente colpiti dalla pandemia.
La vaccinazione di persone incarcerate si è subito dimostrata come una decisione politicamente impegnativa in tutto il Paese, e Stati alle prese con le stesse questioni etiche, logistiche e legali hanno stabilito linee temporali drasticamente diverse per l’offerta di dosi ai detenuti.
* Fonte: Marina Catucci, il manifesto[1]
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