by Roberto Prinzi * | 26 Marzo 2021 10:06
Se l’Unione Europea voleva mandare un messaggio di vicinanza al nuovo Governo di unità nazionale (Gun) libico di Dabaiba e contrastare l’influenza di attori regionali (Turchia e Russia in primis), la missione di ieri dei ministri degli Esteri di Francia, Germania e Italia non poteva avere un significato più chiaro.
Nel vertice sono stati toccati molti temi: dalla lotta alle migrazioni illegali, ai progetti delle imprese europee nella ricostruzione del Paese, alla missione Irini per monitorare il cessate il fuoco e al sostegno di Bruxelles per l’organizzazione delle elezioni libiche entro il 24 dicembre.
Il primo risultato tangibile è stato l’annuncio delle riaperture delle ambasciate in Libia di Francia e Germania fatto da Najla el-Mangoush, la prima donna a guidare il dicastero degli Esteri libico.
BALDANZOSO era ieri soprattutto Luigi Di Maio, il primo ministro europeo a essere ricevuto (domenica) a Tripoli da esponenti del Gun e al suo settimo viaggio nel Paese nordafricano in meno di due anni.
«La nostra presenza – ha detto il titolare della Farnesina – testimonia l’unità d’intenti dei Paesi europei più impegnati per la stabilizzazione della Libia. L’Europa continuerà a restare al fianco del popolo libico e a sostenerlo nel suo cammino verso la pace».
La «vicinanza» di cui parla di Di Maio è però soprattutto per gli interessi economici italiani come apparso evidente domenica quando il ministro, insieme all’ad di Eni Descalzi (Eni che proprio ieri ha patteggiato per induzione indebita in Congo nell’indagine nata dall’esposto di Re:Common – ha incontrato il premier Debaiba.
DI MAIO HA POI LODATO le autorità libiche per la loro «lotta ai trafficanti di esseri umani e per il presidio delle frontiere marittime» aggiungendo, non senza ipocrisia, di attendersi «che venga compiuto il massimo sforzo per garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali». Come se non fosse già noto chi gestisce i lager in cui sono rinchiusi i migranti e quale sia la biografia degli appartenenti della cosiddetta Guardia costiera libica. Di Maio ha inoltre rimarcato come l’operazione Irini a guida italiana fornisca un «contributo efficace all’attuazione dell’embargo sulle armi». Parole che stridono con la realtà perché gli armamenti continuano ad arrivare a Tripoli e a Bengasi dai rispettivi sponsor regionali.
SENZA DIMENTICARE poi la questione dei mercenari stranieri per cui ieri il Governo di unità nazionale libico ha chiesto con forza che lascino il Paese «immediatamente».
Un tema toccato anche dal ministro degli Esteri tedesco Maas mentre il suo omologo francese Le Drian ha sottolineato il «messaggio di sostegno» lanciato dagli europei alle nuove autorità locali. La Francia è quanto mai attiva in queste settimane sul dossier libico come testimonia tre giorni fa la visita del neo capo del Consiglio presidenziale libico Menfi da Macron.
INCASSATO IL SOSTEGNO dell’Eliseo, Menfi è volato ieri in Egitto alla corte del “Faraone” al-Sisi. Una visita significativa (la sua prima in un Paese arabo) che ribadisce la centralità che gli egiziani vogliono avere nelle vicende dello Stato «fratello». Tra sorrisi e strette di mano tra Tripoli e il Cairo, nessun accenno è stato fatto all’uccisione l’altro ieri a Bengasi del comandante delle Forze speciali al-Saiqa, il salafita al-Werfalli.
Un assassinio su cui restano molte ombre: solo pochi giorni fa la città cirenaica era stata teatro di un’esecuzione di massa di 11 persone. I corpi erano stati ritrovati dietro a un cementificio e presentavano colpi di pistola alla testa.
Una modalità che ha ricordato le esecuzioni proprio di Saiqa. Werfalli era ricercato dalla Corte penale internazionale (Cpi) per presunti crimini di guerra, perpetrati in particolare durante il conflitto con le milizie islamiste di Bengasi. A più riprese la procuratrice della Cpi Bensouda ha sottolineato come il comandante libico fosse ancora libero contrariamente a quanto affermavano le autorità militari cirenaiche.
* Fonte:
il manifesto[1]Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2021/03/missione-ue-il-ministro-di-maio-in-libia-vede-gli-affari-ma-non-le-armi-e-i-lager/
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