Israele accusa l’Iran e apre un casus belli
Potrebbe diventare un casus belli l’attacco al mercantile Helios Ray, di proprietà israeliana, danneggiato da ordigni esplosivi la scorsa settimana nel Golfo di Oman. Benyamin Netanyahu dice di non avere dubbi sulla responsabilità dell’Iran. Tehran nega. «La fonte di questa accusa è la meno credibile che ci sia, e questo ne prova la mancanza di validità», ha commentato il portavoce del ministero degli esteri iraniano, Saeed Khatibzadeh. Il premier israeliano insiste. «Questa è stata davvero un’operazione dell’Iran. È chiaro» ha detto «è il più grande nemico di Israele e lo stiamo colpendo in tutta la regione». E la rappresaglia è scattata domenica, prima ancora che i media locali diffondessero la sentenza di colpevolezza emessa da Netanyahu.
Jet israeliani, all’altezza del Golan occupato, hanno sganciato missili verso l’area di Sayyidah Zaynab, a sud di Damasco, non lontano dall’aeroporto della capitale, dove sarebbero presenti basi per ufficiali e combattenti dei Guardiani della rivoluzione dell’Iran e del movimento sciita libanese Hezbollah, presenti in Siria a sostegno dell’esercito regolare agli ordini del presidente Bashar Assad. Missili in gran parte abbattuti, secondo l’agenzia statale Sana. L’aviazione israeliana aveva colpito anche nei giorni scorsi, sempre nella zona dell’aeroporto di Damasco uccidendo, secondo fonti non ufficiali, tre soldati siriani e quattro consiglieri militari di Tehran.
«Gli iraniani non avranno armi nucleari, con o senza accordo. L’ho detto anche al mio amico Joe Biden», ha avvertito Netanyahu in un’altra intervista diffusa dall’emittente Kan. Flette i muscoli il premier israeliano e così facendo manda segnali inequivocabili anche «all’amico Joe Biden» che con l’Iran vuole riallacciare il dialogo sul Jcpoa, l’accordo del 2015 sul programma nucleare di Tehran dal quale Donald Trump è uscito tre anni fa aprendo una crisi che ha quasi portato i due paesi alla guerra. E allo stesso tempo si tiene le mani libere. Ieri mentre Mohammad Al Khajah, il primo ambasciatore degli Emirati, arrivava a Tel Aviv nel quadro dell’avvio di piene relazioni diplomatiche tra i due paesi stabilito con l’Accordo di Abramo dello scorso anno, il Jerusalem Post, citando un anonimo funzionario governativo, ha rivelato che Israele, Arabia Saudita, Emirati e Bahrain stanno considerando una maggiore cooperazione, evidentemente militare, nell’affrontare il nemico comune, l’Iran. Per ora la questione, ha detto il funzionario, «viene discussa in modo informale…ma c’è molto da guadagnare espandendo la cooperazione».
Qualche giorno fa Ron Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale, sul quotidiano saudita Arab News aveva invocato la creazione di una «Nato del Medio Oriente» poiché, a suo dire, certi Stati arabi vedono in Israele l’unico alleato affidabile contro l’Iran. «Israeliani e arabi – ha aggiunto – dovrebbero cogliere l’opportunità di lavorare insieme per salvare il Medio Oriente dall’incombente catastrofe dell’estremismo e del nucleare». Netanyahu non si lascia sfuggire una sillaba ma la scorsa settimana i24 News, una tv satellitare in varie lingue, anche in arabo, che rappresenta la visione israeliana del Medio Oriente, aveva riferito che il governo è in trattative con tre Stati del Golfo su «un’alleanza per la difesa».
Con il passare dei mesi emerge più evidente la sostanza dell’Accordo di Abramo. Descritto come un trattato di pace tra Israele e quattro paesi arabi – Emirati, Bahrain, Marocco e Sudan – si rivela quel patto di natura militare e strategica che gli analisti avevano spiegato sin dall’annuncio, lo scorso agosto, dell’avvio di relazioni ufficiali tra Tel Aviv e Abu Dhabi. Un patto che vede lo Stato di Israele nei panni di difensore, anche prima degli Usa, della sicurezza delle petromonarchie del Golfo «minacciate dall’Iran», a cominciare dall’Arabia saudita che pure non è ancora parte dell’Accordo di Abramo. In questi giorni i media israeliani riportano le preoccupazioni del governo Netanyahu per la posizione dura dell’Amministrazione Biden nei confronti del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MbS), di fatto reggente, accusato, ora anche dalla Cia, di aver dato il via libera all’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. Nel quadro delle nuove alleanze strategiche nella regione, MbS è considerato da Netanyahu una figura centrale per la pressione sull’Iran. I due si sono incontrati segretamente a Neom, città saudita sul Mar Rosso, nel novembre dello scorso anno.
* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto
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