by Michele Giorgio * | 6 Marzo 2021 10:30
GERUSALEMME. Benyamin Netanyahu a inizio settimana aveva annunciato ogni sforzo diplomatico pur di bloccare l’indagine per crimini di guerra nei Territori palestinesi occupati aperta formalmente dalla Corte penale internazionale. Ed è stato di parola. L’Amministrazione Biden si è subito schierata dalla parte di Israele contro la procuratrice internazionale Fatou Bensouda, senza ripetere le minacce e le sanzioni di Donald Trump contro i giudici dell’Aia. Nella prima telefonata l’altra sera fra Kamala Harris e il primo ministro israeliano, la vice presidente oltre a ribadire «la partnership su questioni di sicurezza regionale, compreso il programma nucleare iraniano» e l’appoggio agli accordi di normalizzazione fra Israele e paesi arabi, ha espresso una netta opposizione al procedimento avviato dalla Cpi.
Il colloquio è servito a fugare i timori israeliani su relazioni più tiepide con la nuova Amministrazione dopo la luna di miele durata quattro anni con Trump e il suo entourage. Il mese scorso Joe Biden ha avuto una lunga conversazione telefonica con Netanyahu, primo leader in Medio Oriente sentito dal presidente Usa ma il 12esimo del mondo nonostante gli strettissimi rapporti fra i due paesi. Kamala Harris, sostenitrice entusiasta di Israele, con la sua telefonata ha confermato che è tutto ok tra i due alleati. Anche il segretario di Stato Tony Blinken ha fatto la sua parte. Deplorando l’indagine della Cpi, Blinken ha sostenuto che la Corte dell’Aia «non ha giurisdizione in materia perché non ne fa parte Israele, inoltre i palestinesi non hanno uno Stato sovrano e non possono essere un membro della Cpi». Gli Stati Uniti, aveva twittato in precedenza, «si oppongono fermamente a un’indagine @IntlCrimCourt sulla situazione palestinese. Continueremo a sostenere il nostro forte impegno nei confronti di Israele e della sua sicurezza anche opponendoci ad azioni che cercano di prenderlo di mira ingiustamente». Oltre agli Usa, Netanyahu conta di ottenere al più presto il sostegno di altri paesi, non solo occidentali.
La procuratrice Bensouda indagherà su possibili crimini di guerra commessi da Israele[1], e anche dal movimento islamico palestinese Hamas, dal 13 giugno 2014 in poi. Con un focus particolare sull’offensiva israeliana Margine Protettivo contro Gaza costata la vita a oltre duemila palestinesi (in buona parte civili secondo i dati delle organizzazioni internazionali) e la distruzione totale o parziale di decine di migliaia di abitazioni. Israele non coopererà in alcun modo con l’indagine e, secondo indiscrezioni riportate da media locali, avrebbe rivolto pesanti ammonimenti all’Autorità nazionale palestinese minacciando sanzioni, anche contro il suo presidente Abu Mazen, se collaborerà con Fatou Bensouda.
Nella prima fase delle indagini verranno raccolte le testimonianze delle vittime dei crimini. Successivamente la procuratrice chiederà pareri sulle regole di ingaggio e su come vengono attuate a organizzazioni per i diritti umani, esperti e forse anche a ex militari israeliani. Le indagini potrebbero richiedere anni prima che siano emessi eventuali mandati di arresto. In un’intervista il ministro della difesa Benny Gantz ha stimato in centinaia gli israeliani che potrebbero finire sotto inchiesta ma, ha aggiunto, «ci prenderemo cura di tutti», anche con comunicazioni tempestive sui rischi relativi ai loro viaggi all’estero. Lo stesso Gantz è indicato come uno degli indagati poiché era capo di stato maggiore durante Margine Protettivo. Due anni fa il ministro israeliano mise in rete un filmato che, mostrando le macerie di Gaza, accreditava il suo pugno di ferro contro i palestinesi.
* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto[2]
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