Pandemia. Corsa contro il tempo per la diffusione delle varianti
La vaccinazione di massa è l’arma segreta contro la comparsa delle varianti, ma potrebbe anche rivelarsi controproducente. È quanto sostiene un articolo del Washington Post, secondo cui un ritmo di vaccinazione troppo lento potrebbe addirittura rivelarsi controproducente e prolungare, anziché abbreviare, la durata delle restrizioni antipandemiche. A mettere a rischio il risultato delle vaccinazioni è lo sviluppo di varianti: se le vaccinazioni non procedessero con la giusta velocità, gli anticorpi indotti dalla vaccinazione potrebbero favorire la selezione delle varianti più contagiose. Nello scenario peggiore, si potrebbe ottenere il risultato paradossale di una popolazione vaccinata ma ugualmente suscettibile a varianti più aggressive del virus.
Prima di aggiungere angoscia a una situazione già non tranquillizzante, è bene ricordare che si tratta solo di uno scenario. L’evoluzione di una pandemia è difficile da prevedere, data la complessità dei fattori biologici e sociali che la influenzano perciò prevedere a tavolino quello che ci attende è un esercizio rischioso.
Che il fattore tempo conti, però, non lo mette in dubbio nessuno. Ogni virus ha un tasso di mutazione diverso. Il Sars-CoV-2, ad esempio, accumula mediamente due mutazioni al mese, ma non si tratta di un processo sempre lineare e progressivo. L’emergenza improvvisa di una variante pericolosa può dipendere da un singoli individuo. «Una possibile spiegazione per l’emergenza di una variante è una infezione prolungata di Sars-CoV-2 in un singolo paziente, probabilmente con un deficit immunitario» scriveva il Centro europeo per il controllo delle malattie a fine 2020, quando nel sud del Regno Unito comparve per la prima volta la variante B.1.1.7, o “inglese”. «Questa infezione prolungata – spiegava il Centro – può portare a un ritmo elevato di accumulazione di mutazioni in grado di sfuggire al sistema immunitario». Nello stesso mese, il New England Journal of Medicine aveva riportato il caso di un singolo paziente immunocompromesso deceduto dopo 5 mesi di infezione. Durante quel periodo, la competizione tra il virus e un sistema immunitario troppo debole aveva permesso al virus di accumulare un numero eccezionale di mutazioni, soprattutto nelle proteine “spike” che permettono al virus di agganciare le cellule da infettare.
Allo stesso tempo la naturale tendenza a mutare, caratteristica dei virus a Rna come il Sars-CoV-2, non corrisponde necessariamente a una maggiore virulenza. Ci sono virus che mutano anche più spesso del coronavirus, senza necessariamente diventare più pericolosi. Ogni volta che si replica, per esempio, il morbillo acquisisce in media una o due mutazioni. Ma questo non ha diminuito l’efficacia dei vaccini sviluppati decenni fa. «Il vaccino contro il morbillo è in uso dagli anni ‘60 – spiega l’immunologo Roberto Burioni – e non si è mai visto un mutante, anche se la replicazione del genoma del morbillo introduce più mutazioni di quella del coronavirus». A differenza delle proteine “spike” del coronavirus, quelle del virus del morbillo perdono la loro capacità di infettare le cellule quando subiscono una mutazione. Questa minore efficienza fa sì che le varianti del morbillo siano rapidamente scartate dalla selezione naturale.
Prevedere come evolverà il virus alle prese con i vaccini oggi è dunque difficile e, anche se la prudenza è d’obbligo, non ci sono ragioni per scartare la preziosa opportunità che proviene dai vaccini, anche da quelli che non garantiscono una protezione totale. Un vaccino anche parzialmente efficace può rallentare la circolazione di un virus e, con meno copie del virus in circolazione, lo sviluppo di varianti è un eventualità meno probabile. Piuttosto, occorre liberarsi dell’illusione che vaccinare solo la parte più ricca del mondo possa metterci al riparo. Per questo l’Oms ha chiesto di accelerare la somministrazione nei paesi poveri del vaccino AstraZeneca, meno efficace dei vaccini Pfizer e Moderna ma anche più economico e maneggevole. Inoltre, ha invitato i paesi ricchi a donare le dosi accaparrate una volta terminate le vaccinazioni sulle categorie più fragili. Anche se le popolazioni dei paesi più ricchi saranno presto vaccinate, finché nei paesi in via di sviluppo il virus continuerà a circolare – e a mutare – nessuno potrà ritenersi al sicuro.
* Fonte: Andrea Capocci, il manifesto
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