La sonda della NASA nell’orbita di Marte, prosegue la colonizzazione dello spazio
Da qualche tempo a questa parte, ogni paio d’anni ci sembra di essere invasi da notizie di «ammartaggi». Non è solo una moda. Ogni 26 mesi, le orbite della Terra e del nostro vicino rosso, grazie ai complicati incastri della meccanica celeste, si trovano il più vicino possibile fra di loro. E così le agenzie spaziali ne approfittano per utilizzare questa finestra di opportunità (di soli 10 giorni) per lanciare un plotone di robot per colonizzare il pianeta che da sempre ha scatenato le nostre fantasie.
ECCO PERCHÉ questo febbraio sono arrivate su Marte ben tre sonde dai vicini terrestri: una con la bandiera della Nasa, una con quella degli Emirati Arabi e una con quella cinese. Dai tempi di Gagarin a oggi, la conquista dello spazio non è solo una obiettivamente straordinaria impresa umana, ma anche il campo di battaglia di assai più prosaici scontri geopolitici terrestri.
Nonostante la pandemia, scienziati e ingegneri di mezzo mondo sono riusciti a lanciare ben tre delle quattro sonde previste. L’Agenzia spaziale europea, Esa, con la russa Roscosmos, hanno dovuto rimandare al prossimo appuntamento fra 2 anni ExoMars e il suo rover, Rosalind Franklin, come la scienziata che ebbe un ruolo fondamentale nella scoperta della struttura del Dna.
La parte più spettacolare di questa storia è avvenuta giovedì notte: dopo sette mesi di viaggio, la sonda della Nasa Perseverance è entrata a tutta velocità nella tenue orbita marziana e in sette minuti è passata da una velocità di più di 20mila km/h a zero. Per farlo, ha usato prima un paracadute del diametro di 21 metri, un sistema di rivelazione automatica del punto più adeguato per l’atterraggio, poi l’accensione di 4 razzi frenanti, e infine una gru, che ha depositato delicatamente il rover, mentre la carcassa della sonda si schiantava a distanza di sicurezza. Il tutto senza possibilità di intervenire da terra: il segnale impiega 11 minuti per arrivare, non ci sarebbe stato tempo di reagire. «Sette minuti di terrore», fino a quando Persy, con i suoi più di mille chili, ha fatto sapere di essere arrivata sana e salva.
È la quinta volta che gli americani riescono a far atterrare un rover su Marte: nessun’altra agenzia spaziale ci è riuscita (gli «ammartaggi» falliti sono il 50%).
PERSY, «il veicolo di esplorazione marziana più ambizioso lanciato dalla Nasa», di cui gli scienziati parlano usando il she, e su cui sono montati ben sette strumenti, ha l’obiettivo di studiare le rocce e il terreno della zona su cui è atterrata, il cratere Jezero, 45 km di diametro, scelto dagli scienziati perché tre miliardi fa doveva avere un aspetto paradisiaco: un grande lago alimentato da un fiume. Ancora non è chiaro perché quando sulla terra iniziava ad esplodere la vita, su Marte il destino abbia scelto un altro cammino, e dopo solo un miliardo di anni l’acqua sia evaporata e l’atmosfera dissolta. Da brava esploratrice, Persy studierà l’interno delle rocce a caccia di resti organici di eventuali forme di vita e raccoglierà mostre di terreno che poi verranno riportate a terra da una futura missione. Nella pancia di Persy c’è persino un piccolo drone-elicottero.
LA SECONDA colonizzatrice di Marte è una navicella cinese, Tianwen-1 («domande al cielo», un antico poema cinese), per ora solo in orbita attorno al pianeta. Anche i cinesi trasportano un rover, simile a quello usato nelle loro recenti missioni lunari, che però adageranno sulla superficie marziana solo a maggio, in una zona del pianeta, Utopia Planitia, al di sotto della quale c’è un enorme lago ghiacciato. Tianwen-1 orbiterà, atterrerà e depositerà un veicolo di esplorazione per la prima volta: se funziona, per la Cina, che sta puntando moltissimo sullo spazio, sarà un successo storico.
Infine c’è Hope, speranza, la missione degli Emirati Arabi, in collaborazione con università americane. Il paese petrolifero vuole così celebrare, con una missione che sta già orbitando attorno al pianeta rosso, i 50 anni della fondazione. È il quinto paese a riuscirci, dopo Stati Uniti, Russia, Europa e India. Per un anno marziano (687 giorni) studierà la meteorologia del pianeta. Dicono che la missione stimolerà l’innovazione e la ricerca ispirerà i giovani a studiare la scienza: ma è chiaro che la monarchia emiratense vuole un posto al sole – su Marte, in questo caso.
* Fonte: Luca Tancredi Barone, il manifesto
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