by Alessandra Briganti * | 16 Febbraio 2021 18:58
«Il popolo ha parlato con una sola voce, prendendo il destino nelle proprie mani». Nella notte di un voto che in Kosovo è già storia, Albin Kurti ringrazia così la «sua gente», quella che domenica scorsa gli ha conferito un mandato netto, inequivocabile. Il partito guidato da Kurti e Vjosa Osmani, Autodeterminazione (Vetevendosjie, VV), ha raccolto più del 48% dei voti, una vittoria schiacciante per VV nelle elezioni più partecipate della storia del Kosovo indipendente.
«UN REFERENDUM, più che delle elezioni», è stato il commento a caldo di Kurti che ha promesso «giustizia, non vendetta» verso coloro che hanno “catturato” il Kosovo in una tela fitta di corruzione e malaffare. Soddisfatta anche Osmani, fuoriuscita dalla Lega democratica del Kosovo (Ldk), il partito, di cui era stata candidata premier alle scorse elezioni, entrato nella coalizione di governo con VV nel gennaio dello scorso anno, per poi sfiduciarlo dopo appena 53 giorni.
Una manovra di palazzo censurata dagli elettori e tradottasi in un crollo senza precedenti per il partito del defunto Ibrahim Rugova, primo presidente del Kosovo, che rispetto alle scorse elezioni ha perso undici punti percentuali e 13 seggi, arrivando terzo con il 13.8% dei voti.
«Il risultato, ha commentato Osmani, deve essere una lezione per l’Ldk perché non si venga meno alla parola data ai cittadini». E nella notte della resa dei conti non si è fatta attendere la reazione del premier uscente, Havdullah Hoti, candidato premier per l’Ldk che ha dichiarato di assumersi le responsabilità della sconfitta. La prima testa a cadere è stata quella dell’ex premier Isa Mustafa, esecutore del colpo di mano che ha rovesciato il governo Kurti, dimessosi dalla segreteria di partito.
PIÙ CONTENUTO IL CALO di consensi per il Partito democratico del Kosovo (Pdk), dell’ex presidente Hashim Thaqi, dimessosi nel novembre scorso prima di essere arrestato e portato all’Aja dove dovrà affrontare un processo per crimini di guerra e contro l’umanità. Il suo partito, guidato ora da Enver Hoxhaj, si è piazzato secondo con il 17% dei voti. Eppure il suo successo è limitato alla sola area della valle della Drenica: a Skenderaj il Pdk si è affermato con una percentuale bulgara del 72%.
Stesso discorso per l’Alleanza del Futuro (AAK) dell’ex premier Ramush Haradinaj. Il suo trionfo è circoscritto a Decani e ai villaggi intorno, l’area controllata dagli uomini dell’ex guerrigliere dell’Uck. Qui l’AAK ha superato la maggioranza dei voti, ma è bastato appena a garantirgli l’accesso in Parlamento, fermo al 7% a livello nazionale pronosticato nei sondaggi della vigilia. Non ce la fa a superare la soglia di sbarramento Iniziativa civica per il Kosovo (NISMA), partito guidato da Fatmir Limaj, sotto il 3%.
Insomma, una debacle totale per la generazione Uck che viene spazzata via dal Parlamento, dall’esecutivo e di riflesso dalla Presidenza, ultima casella cui poteva ancora aspirare un esponente della vecchia guardia, Haradinaj. Il nuovo governo potrà infatti contare su una solida maggioranza parlamentare, ma ha anche i numeri per esprimere il successore di Thaqi allo scranno della Presidenza, elezione che avrà luogo entro maggio e che vede Osmani in pole position.
SECONDO LE PROIEZIONI, a Vetevendosje verranno assegnati 58 seggi, poco al di sotto della maggioranza assoluta, 61. L’esecutivo governerà con i partiti delle minoranze etniche, forse con la sola esclusione della Lista Serba, che come da pronostico si è aggiudicata tutti e dieci i seggi riservati alla minoranza serba, nonostante il suo monopolio sia stato in parte scalfito dalla concorrenza di altri partiti, specie nelle enclave del Kosovo del Sud.
Insomma la rivoluzione di Kurti e Osmani, accennata, ma rimasta incompiuta alle scorse elezioni, può iniziare. La priorità, come ha sottolineato il leader di VV, sono «le riforme, la giustizia e il lavoro», e non il dialogo con la Serbia, come chiesto da Bruxelles. Parole quelle di Kurti che allontanano le prospettive, ammesso che siano reali, di un avanzamento nel percorso europeo. C’è da aspettarsi che lo stesso rapporto con gli Stati uniti non sarà lineare come in passato non solo per le fratture create dall’amministrazione Trump, ma anche per la pruderie di Kurti verso le ingerenze straniere. Per la prima volta quindi dopo più di venti anni, il Kosovo ha una possibilità concreta di diventare uno Stato a tutti gli effetti, il percorso però è tutto in salita.
* Fonte: Alessandra Briganti, il manifesto[1]
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